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Il “Tetrafarmaco delle parole”

Oggi vi parlerò brevemente del “Tetrafarmaco delle parole” : Vi suona familiare la parola “tetrafarmaco”? Se la risposta è sì ne sono lieta.
Per chi, invece, non lo sapesse questa parola (τετραϕάρμακον) deriva dal filoso Epicuro, ed è la fusione di due parole greche: τετρα- «quattro» e ϕάρμακον «farmaco».
Teorizzò quattro regole secondo le quali, rispettandole, l’uomo avrebbe raggiunto la felicità.
Questi punti da rispettare sarebbero in realtà le paure più frequenti degli uomini, di cui bisogna liberarsi per arrivare al “piacere”.
Anche qui lui fa una distinzione:
•Il piacere catastematico (statico), che è caduco, breve.
•Il piacere cinetico (dinamico), che è durevole.

Ora qualcuno potrebbe chiedersi: Quale attinenza ha questo discorso con la scrittura? 

Per quanto concerne il mio punto di vista, abbraccio l’idea dell’Edonismo epicureo, secondo il quale, in senso generale, s’indica qualsiasi genere di filosofia o scuola di pensiero che identifichi il bene morale col piacere, riconoscendo in esso il fine ultimo dell’essere umano.

Nel mio caso, la mia scuola di pensiero, la mia disciplina presa in considerazione è la scrittura. 

Come prima cosa direi di essere consapevoli di quello che si vuole fare ed essere fieri del proprio mestiere, dicendo a gran voce: “Sono un* scritt*”.

Nel mio caso, sono una scrittrice, esordiente, ma lo sono. 

Anche nel campo della scrittura bisognerebbe rintracciare i timori di cui sbarazzarsi, per raggiungere il piacere (cinetico) della scrittura.

Pertanto, anche con la penna bisogna avere un certo equilibrio, e per raggiungerlo ecco qui di seguito i punti del tetrafarmaco di uno scrittore:

  • Chi sono io per scrivere? Uno dei primi errori che si commettono è quello di avere scarsa autostima e, di conseguenza, sottovalutare questo mestiere, preoccupandosi di quello che possono pensare gli altri.
  • Nessuno leggerà mai quello che scrivo io. È vero che si scrive anche per essere letti, ma se davvero amiamo scrivere dobbiamo svincolarci da questa specie di egocentrismo e scrivere quello ci piace e non quello che gli altri vogliono leggere.
  • Ho paura delle critiche. Un altro degli errori più comuni è quello di preoccuparsi di cosa si scrive, come se fossimo nati tutti con la propensione per i saggi. A me per esempio piace scrivere testi per bambini, e anche se questo è spesso sottovalutato, soltanto chi lavora in determinati ambiti può comprendere la complessità e il lavoro che c’è dietro. E allora, niente paura e scrivi come se fossi l’ero* del racconto. 
  • Ho scritto poco? Tanto?  Penso che un testo si debba valutare soltanto a fine lettura e con il tempo, dopo aver letto tanti libri, ho scoperto che è possibile leggere mattoni e innamorarsi di un libro o scoprirne tutto un senso semplicemente da alcune righe. Magari le ultime.

Se ci pensiamo bene, riassunti e analizzati, questi punti portano a una solo conclusione: abbiamo paura di metterci in gioco. 

Del resto, funziona allo stesso modo anche nella vita di tutti i giorni (per grandi e piccini): a scuola, a casa, in qualsiasi tipo di lavoro o in qualsiasi relazione, bisogna solo metterci la faccia. Perché quando scrivi tutti possono leggerti, criticarti o apprezzarti. 

Così come per amare gli altri bisogna prima amare se stessi, allo stesso modo, per far apprezzare agli altri la propria scrittura bisogna che la apprezziamo noi per primi.

Poi può anche non piacere, ma butta giù la corazza fatta di aculei superflui e scrivi. Per te, per gli altri, per hobby ma scrivi. Scrivere deve essere un piacere cinetico!

Meditare bisogna su ciò che procura la felicità, poiché invero se essa c’è abbiamo tutto, se essa non c’è facciamo di tutto per possederla. -Epicuro, Lettera sulla felicità a Meneceo

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