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Poesie per la vita

Giovanni Piazza è l’autore del libro di poesie in vernacolo E semu ccà!, edito dalla Kimerik, racconta come possa essere difficile affrontare la vita di tutti i giorni, sopravvivere alle difficoltà e agli impedimenti; ma nonostante tutto, nel bene e nel male, si stringono i denti e si cerca di andare avanti solo per l’amore  verso la vita. Le poesie rallegrano l’animo ed alleggeriscono il cuore, insomma si ride di gusto. Ringraziando l’autore per averci donato momenti come questi, conosciamolo un po’ meglio attraverso questa mia intervista, nella quale in maniera simpatica e conviviale abbiamo deciso di darci del tu.

Raccontami  la tua esperienza di poeta in vernacolo. Raccontar di poesia, addirittura di poesia in vernacolo. Difficile. Quando già le poesie stesse non le legge nessuno. Quando il mercato dei libri di poesia è praticamente inesistente, se non per quelle autopubblicate.

Verissimo, ma le tue sono poesie classiche, metriche. Si, anche se classico ha oramai il sapore di antico, o addirittura vecchio. Mentre la metrica italiana ha fatto tremare le colonne del cielo e posto la poesia a un livello stratosferico. Epperò, oramai, il pensiero imperante è prostrato dinanzi al verso libero, che io chiamo verso comodo. Una marea di poeti, tutti comodamente e poeticamente spaparanzati in quella interessata mancanza di regole, dove le folle richiamano altre folle, e magnificamente esemplificato da Freak Antoni con il suo “Mangiate cacca, milioni di mosche non possono aver torto”. E le colonne del cielo aspettano.

Allora le tue, che quelle regole le hanno, fanno tremare le colonne del cielo? No, le mie fanno tutt’al più sobbalzare qualche pancia, se riesce a sorridere.

Questo perché hai scelto il filone… com’è che lo chiami? Erotico-demenzial-popolare.

Perché lo hai scelto? Per la verità, è stato lui a scegliere me. E non so proprio perché. Deve essere per quella questione lì, del bicchiere mezzo pieno o mezzo vuoto… mah… dovresti chiederlo a lui.

E la scelta metrica? E anche quella, non è stata una scelta. La metrica è un qualcosa di innato, di spontaneo, ed io ho inseguito quel qualcosa che a me risultava naturale, normale. Come per un ragazzo inseguir le ragazze.

Nei confronti della vita sei  sempre stato un positivista? Positivista sarebbe ancora quel discorso del bicchiere mezzo e mezzo?  Chissà. La verità è che il bisogno di sorridere è insopprimibile. E considerato che, nella vita, i motivi per piangere non mancano, ecco che quelli sorridenti sono tenuti in grande considerazione. Qui in Sicilia si dice “mai di li genti allegri nun ti spàrtiri, ca ti fanu passari li strafùttiri” per significare quanto, un sorriso, possa aiutare a sopportare meglio i guai.

Qual è la tua  poesia che porti sempre con te? E chi ti dice che mi porti appresso una mia poesia? E a quale scopo, poi? Per certificare gli indirizzi poetici della mia filosofia di vita a un eventuale posto di blocco culturale? Tutt’al più potrei portarmi appresso qualche mio poemetto, considerata la memoria ormai fallace. E avere a portata di mano un “aiutino” che mi consentisse di non sfigurare, qualora il popolo mi chiedesse di recitargli qualcosa, potrebbe essere di grande conforto. Ecco, quando il popolo comincerà ad occuparsi dei conforti miei, ne riparleremo.

C’è una poesia di un altro poeta che, ad esempio,  spiegherebbe il tuo scrivere in romanesco? Il mio è un romanesco all’acqua di rose. Senza riferimento né pretesa alcuna. Perché trovo, quel linguaggio, molto simpatico e comprensibile e perché amo Trilussa e Belli, ma soprattutto perché li invidio.

Ha già altri progetti editoriali? Beh, in progetto ho la scrittura di qualche altra decina di volumi in siciliano, la mia lingua. E un poemetto sulle incredibili vicende del ponte sullo stretto di Messina, la cui realizzazione ritengo indispensabile per avviare progresso e sviluppo per l’intero sud. E poemetti ancora, su costumi e leggende siciliani. Io progetto, poi la provvidenza provvederà a dispiegare quei limiti che ben conosciamo.

 

 Anna Pizzini

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