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“Finché tornerà ancora l’alba” di Giuseppe Rossi. Il commento di Rocco Antonio Melino‎

L’Autore si inoltra in una luminosa via del sogno, attraverso un vascello immaginario, l’Albatros, alla ricerca di una nuova, rassicurante landa rischiarata da un’alba rosea, che abbellisce e rischiara terre, mari e cielo, in breve, la vita.
L’alba è simbolo di speranza, di ottimismo, di fiducia nella rinascita, in un mondo in crisi profonda, dei valori delle tradizioni umane e civili permanenti nella storia dei popoli, delle etnie, delle comunità grandi e piccole.
In effetti – ragiona l’Autore – nella vita non si può accantonare la speranza, il bene, specie in momenti di crisi e di sconforto, nel prevalere dell’ingiustizia e della guerra, nel disprezzo della persona umana per l’esclusivo interesse e arricchimento personale ad ogni costo, lecito o illecito che sia.
Così l’Autore, novello Ulisse omerico, attraversa i mari della speranza sul suo battello, spostato nelle sue varie rotte dai segni incisi sulla katana, una spada magica. Con la sua ciurma, composta da persone di ogni condizione e di ogni continente, si imbatte in personaggi, che sono campioni di progresso materiale, sociale e soprattutto spirituale e culturale, nel segno della pace e dell’arricchimento civile della intera umanità.Incontra, ad esempio, il Cristo sulla collina del ” Discorso delle Beatitudini”, ove il bene non è nelle cose di questo mondo, ma altrove, nell’armonia con Dio e l’Universo. Incontra Newton e Ghandi, campioni che hanno ” inventato “l’equilibrio perenne dell’universo e l’imbattibilità della non-violenza. Equilibrio e pace: due valori immensi e necessari, che sono a fondamento di ogni benessere dell’uomo, di cui l’uomo contemporaneo in crisi va perdendo l’essenza, chiudendosi nella indifferenza,nell’accidia della rassegnazione, nel cerchio miope del proprio tornaconto, senza prospettive né spinta volitiva all’impegno, al rispetto ambientale e civile, all’estro stesso delle idee e della fantasia.
Giustamente, a mio avviso, l’Autore non va soltanto per mare e non incontra solo uomini illustri, i danteschi “spiriti magni”, ma sbarca e… se ne va in campagna in visita nostalgica ai contadini affaticati e laceri del suo indimenticato paese, cotti dal sole, mani dure e nodose, sciupati dalla fatica e dal pasto frugale. Se ne va nelle campagne anzanesi, dove la gente ara, zappa, sarchia, puta, semina, miete a mano, pascola, raccoglie uova per i baratti al mercato… Lavora tanto e raccoglie poco, si indigna e si accontenta, rispetta ed ama i suoi lavori, le sue usanze, i suoi Santi, sopporta le quotidiane peregrinazioni tra campi e casa in paese, non asseconda in piazza l’ozio o il vino nelle cantine, rispetta le sue donne, anche se talora civettuole,segue i figli in crescita con bonaria severità e li educa al lavoro, al rispetto delle regole e delle leggi e li manda a scuola. Guarda al futuro, non si ferma, emigra, torna, tenta, sbaglia, ritenta altre vie. La sua meta è la sicurezza economica sia pure parziale, ma soprattutto tende alla dignità e rispettosità propria e altrui, al decoro di un’esistenza anche modesta, ma limpida e chiara come l’acqua di sorgente,pura come l’anima degli innocenti.
Nelle pagine i ricordi si alternano con sagge considerazioni sull’umana condizione esistenziale. I ricordi si susseguono in pagine piene, vive, talora palpitanti,in una prosa sciolta, pacata e sicura, aliena da avventure stilistiche esagerate.
La nave, l’Albatros, va qua e là su mari azzurri e tranquilli, magicamente diretta ad isole, deserti, colline, tra i pericoli dei pirati sfrenati e il calmo benvenuto del sopravvissuto ad Hiroshima e degli umili e pacifici indiani asiatici ed americani. L’equipaggio, vario per etnia e continente,si muove tra ricordi struggenti e ricerca di nuovi lidi, nuove isole di conoscenza e di sapere, critica sdegnato il male assoluto dell’armamento atomico e sorride all’avanzare della scienza e della tecnologia al servizio della salute umana e della rassicurazione fiduciosa per l’avvenire della umanità.
Pagine tenerissime Peppino dedica alla sua infanzia ed adolescenza e ai personaggi piccoli e grandi del paese natio. Splendido, ad esempio, il ritratto del Medico Condotto (è anche nel mio cuore), in cui professione e missione si fondono nell’armonia luminosa di un carattere affabile, disponibile, gioviale, indimenticabile.
Non meno tenera la figura del barbiere (anche mio amato barbiere coetaneo), nella cui botteguccia convivono i piccoli pettegolezzi d’un ambiente ristretto con l’amore per la lettura e la cultura. Oppure, infine, l’affresco variopinto e plastico della folla contadina che sogna con le immagini del film proiettato in piazza il dì di festa.
Alla fine, gli svolazzi delle magie della katana si dissolvono e, grazie ad essa, si ritorna alla realtà. Si ritorna a casa, come Ciro nella sua cara Napoli.
Per l’Autore è questa l’isola d’oro che si è inseguita rotta dopo rotta con l’Albatros. E’ la realtà quotidiana, che va vissuta, studiata, conosciuta, rispettata e modificata, ove la società possa vivere i suoi giorni nella convivenza armonica e pacifica, vòlta al bene singolo e collettivo, al rispetto dell’ambiente ormai degradato, della libertà, della pace e della giustizia universale. Smesso il peregrinare, l’Autore sembra soddisfatto, appagato dalle sue fantasie e dai suoi sogni. Quasi quasi si vuol fermare per il giusto riposo. Invece no. Un’altra alba sta per sorgere, dopo la notte silente e meditativa. Sa che i ragazzi, i giovani, spesso son frenati dalla pigrizia, dai piccoli giochi o turbamenti sentimentali,dal buio dell’avvenire che non interessa e non promette. E li mette sull’avviso. Ragazzi – sembra dire – il mondo per voi è ancora da venire, ve lo dovete costruire un po’ alla volta, aiutati di certo dagli adulti e padri,ma soprattutto dal vostro moto di lotta per la giustizia, dalla vostra freschezza creativa e dalla vostra insaziabilità di capire, conoscere, operare. Ecco, l’alba è lì, vi aspetta a braccia aperte, vi tinge di rosa e vi accompagna nelle ore chiare e grigie, nel sereno e nelle tempeste, nei tramonti e nelle sere cangianti della vostra esistenza.

 

Rocco Antonio Melino

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