“Come impronte nella neve”, la lettura critica di Vincenzo Capodiferro
“Un romanzo bellissimo, una voce verista che diventa denuncia sociale della condizione degli ultimi”.
Il 6 maggio 2017 è stato presentato l’ultimo romanzo di Miriam Ballerini, Come impronte nella neve (Casa Editrice Kimerik, Patti, aprile 2017), presso la sala consiliare del Comune di Appiano Gentile. «Cosa sarà, allora, questo libro? Un romanzo sulla violenza? Sulla ricostruzione? Sulla speranza?» – introduce l’autrice – «Forse un libro sull’amore. Fra uomini e donne, fra compagni di avventura, rivolto alla natura, verso se stessi. Ecco! Amare se stessi, questo il primo passo da compiere, per sfuggire alla violenza, per imprimere il peso del primo mattone per ricostruirsi; per riuscire ad amare gli altri». Miriam Ballerini scrive dall’età di dodici anni. Nel 2002 ha pubblicato il suo primo romanzo. Ha ricevuto vari riconoscimenti. Tra le sue opere ricordiamo: Il giardino dei maggiolini (2002); Dietro il sorriso del clown (2003); La casa degli specchi (2004); Bassa marea (2005); Fiori di serra (2008); L’ultimo petalo (2011); Diario di una ragazza del sud (2015).
“Il taxi si lasciò alle spalle la città e la pioggia. La radio accesa starnazzava le notizie del giorno, nelle quali non mancavano i vari attentati dinamitardi da parte dell’Isis. Solo il mese prima avevano terrorizzato Parigi, uccidendo innumerevoli persone innocenti. Il tassista indicò la radio con un dito: «Questi non sono uomini, sono bestie». Zeljka sorrise amara: «Già»”. La protagonista di questo nuovo romanzo è proprio Zeljka, una ragazza inerme, la quale si trova a fare i conti con il fenomeno sociale dell’immigrazione, del razzismo, della fobia sociale inversa, cioè rivolta all’altro, visto sempre come alieno.
Come sottolinea una nota sull’arte della Ballerini: «Non vi troverete storie di grandi uomini, ma vite di persone normali; anche di chi è sotto la soglia della normalità». Miriam trova ispirazione nella storia degli ultimi, degli emarginati, dei carcerati, delle donne indifese. Anche in questo caso «inevitabile è stata l’associazione con le storie di donne maltrattate, stuprate, uccise, che troppo spesso riempiono i nostri telegiornali». In questo senso la storia di Zeljka si ricollega a quella di un Diario di una ragazza del sud. Protagonista è sempre una donna indifesa, inerme, che deve far fronte alla violenza, anche se poi tutta la trama non si conclude necessariamente in femminicidio. La narrativa della Ballerini si ricollega in qualche modo al filone del naturalismo francese e del verismo italiano: è una narrativa legata al “fatto”, è una narrativa sociale, attenta alle infime classi. Si inquadra in un tipo di letteratura realista, quasi socialisteggiante, come quella delle avanguardie.
“Aveva saputo dell’arrivo di Zeljka, tutto il piccolo paese lombardo parlava di lei, raccontavano di quanto fosse magra e storpia. Aspettavano d’incontrarla per ricavarne chissà quale succulento pettegolezzo. «Zeljka». «Sarà mica una “mussulnera”?». Da quando c’erano stati gli attentati di Parigi, sua madre aveva coniato un termine tutto suo per definire chi era di un’altra religione”. Emerge sempre una figura, che chiamiamo il “normale”. Freud direbbe che c’è continuità tra “normale” ed “anormale”. Ma qui emerge ancora un’altra figura, quella del “sub-normale”. Questa si pone tra la figura del superuomo, o nietzschiano “oltreuomo”, “al di là del bene e del male” e quella del sottuomo, o l’inetto, “al di qua del bene e del male”. Questa figura del subnormale può essere ricollegata in parte all’inetto sveviano, ma anche ai “vinti” verghiani, manzoniani e pirandelliani. E perché no? Anche ai fanciullini pascoliani. Questa è una nota caratteristica della poetica balleriniana. Tutti i soggetti della letteratura sono figure particolari che emergono e di solito c’è l’attenzione dell’intellettuale per quegli elementi trascurati, emarginati, quali sono stati Zeno, Renzo e Lucia, Mattia Pascal e tanti altri. Tale era il compito, ad esempio, dei letterati “populisti” russi, i “narodniki”, dei nichilisti.
La storia di Zeljka, la protagonista del romanzo – non è horror, giallo o nero o rosa -, ma si iscrive in questa mentalità svelante. La letteratura ha a che fare con la verità, la dice anche in maniera figurata, ma la dice: e la verità spesso fa male! Se non emerge una vittima di femminicidio, si ha un altro femminicidio, fatto non di spargimenti di sangue, di morti, ma di mortificazioni continue, di abbattimenti psicologici. La denuncia sociale diviene molto più sottile: il razzismo, il femminicidio si consuma nella quotidianità, diviene martirio sociale. Nelle relazione tra la protagonista ed il suo partner si consuma una violenza molto più violenta di una morte cruenta. È una continua offesa, una continua demonizzazione: una stregoneria senza roghi. Eppure «d’improvviso ci si trova in un campo innevato, dove tutte le strade ed i segnali a noi noti sono invisibili al nostro occhio. Eppure, basta compiere un passo per lasciare un’orma nuova» continua la nota sull’arte balleriniana. Come profeta Miriam: «Non deve sempre finir male. Alla tv sentiamo tante, troppe storie di donne uccise da chi asseriva di amarle. Ma ci sono altre soluzioni, altre vie. Con questo romanzo ho voluto dimostrare che la vita, finché c’è respiro, è ricca di scelte, di opzioni. Inevitabilmente s’inciampa: si cade, ci si fa male, ma finché il cuore batte ed i polmoni stantuffano nel petto, c’è sempre un nuovo passo da camminare». La vita è come un immenso campo di neve. Chiunque passa lascia le sue impronte. Queste durano un po’, poi cambiano, vengono coperte. Sempre possiamo cambiare, anche se c’è comunque il “male di vivere”: «era il rivo strozzato che gorgoglia / era l’incartocciarsi della foglia / riarsa, era il cavallo stramazzato». Prima c’erano le ideologie, adesso c’è la liquidità baumaniana. Eppure anche in questa liquidità si creano sempre nuovi scogli. Riemergono i razzismi, i nazionalismi, i paraventi degli “scontri tra civiltà”, delle “guerre di religione”. Il nuovo “spettro che s’aggira per l’Europa” non è il marxiano comunista, ma è il marziano extracomunitario, è questo nuovo extraterrestre. Alla fine anche Miriam fa prevalere Eros per risolvere i problemi sociali e non Thanatos: non c’è bisogno di guerra, di aggressività, c’è bisogno di pace, di amore per risolvere tutti i problemi ed… i nuovi problemi che la storia ci pone. I vinti vengono redenti nell’amore.