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La parola ascoltata

Il saggio Le parole ed il gesto inaspettato,  edito dalla Kimerik,  colpisce il lettore per la sua immediata fluidità e fruibilità dello scritto. Raramente le due cose combaciano  quando si tratta di saggi, ma qui in maniera mirabile il connubio è stato ottenuto. Sono assolutamente convinta che ciò è stato possibile perché lo scrittore Simone Ceccarelli è stato protagonista in prima persona di ciò che ci racconta, oltre ad essere uno studioso della psicanalisi. La parola come mezzo di guarigione dal dolore; ma a questo punto preferisco far parlare il nostro autore con questa mia piccola intervista.

Per conoscerci un po’: ci racconti il suo percorso di vita, di studi e di lavoro che l’ha portata a scrivere il suo saggio Le parole ed il gesto inaspettato. Inizierei da quello che è stato l’episodio che segnò la mia vita. Il suicidio di mio padre! Avevo soltanto 13 anni. Quel gesto inaspettato modificò la mia esistenza, il mio pensiero di vivere, la mia parola, la mia dialettica, i miei desideri. La mia vita divenne un romanzo inverosimile. Il giorno della sua morte fui attraversato da una pulsione, da un energia anomala colma di dolore e sofferenza. Fu l’input che avviò la mia indagine verso orizzonti diversi e la ricerca dell’angoscia. I miei studi si dedicarono fortemente alla filosofia, alla poesia, alla letteratura ed infine anche alla psicoanalisi. La passione per le letture e teorie di Freud mi coinvolsero talmente tanto che mi trasportarono in analisi. A circa 20 anni cominciai un percorso di analisi personale. Sperimentai me stesso e giunsi in terre psichiche profonde. Quell’esperienza mi condusse nelle vicinanze della narrazione e così iniziai una scrittura di me stesso.     

Il passato è il nostro presente ed il nostro futuro, conoscendolo ed analizzandolo lo si può modificare in virtù di una vita migliore? Innanzi tutto vorrei premettere che per ottimizzare il nostro presente bisogna avere il coraggio di contemplare ed analizzare il nostro passato, bello o brutto che sia stato. Dopo di che è possibile mutare e ritoccare i frammenti di una vita vissuta. Siamo noi stessi gli artefici della nostra esistenza. Sta a ognuno di noi avere la fermezza di iniziare a modificare la propria storia per un presente migliore. In analisi si ha la possibilità di rielaborare il passato e di correggere ciò che è stato errato. Dove possibile. È ciò che ho fatto io!

Il potere delle parole – anche per la sottoscritta – è straordinario, ci può esporre meglio questo concetto fulcro del suo scritto? La parola, oltre a congiungere la vita soggettiva alla vita oggettiva, può essere anche un mezzo che conduce l’essere umano alla medicalizzazione della propria sofferenza interiore. La forza del linguaggio umano, sia esso strettamente letterario ma anche artistico o pittoresco, potrà salvare l’uomo dalla propria dolenza psichica. La parola si interessa del nostro fondo senza fondo e non appartiene ad alcun essere umano, anzi, penso sia l’uomo ad appartenere alla parola piuttosto che la parola all’uomo. Il linguaggio non è un oggetto! Noi umani siamo soltanto dei semplici annunciatori che comunichiamo le parole all’ignoto e al vuoto della vita oggettiva. È grazie alla linguistica delle parole se siamo in grado di dare voce alla rabbia e alla collera che giacciono nel nostro sottosuolo. Cosa accadrebbe se quell’ira non riuscisse a defluire attraverso le parole? Probabilmente giungeremmo tutti nella pura follia omicida e suicida!! Saremmo oppressi, costantemente, da quell’energia letteraria che dal nostro interno preme per essere esternata alla luce. Le parole hanno anche il compito di liberare il nostro pensiero, i nostri desideri, i nostri concetti e preconcetti interiori. È grazie a loro se riusciamo a instaurare rapporti sociali, a comunicare e a trasmettere le nostre emozioni.

Come avviene la guarigione dal dolore attraverso la parola, che percorsi fa attraverso il nostro corpo e la nostra psiche? La guarigione del dolore avviene tramite la sua stessa parola. Bisogna imparare ad ascoltare la sua lingua e a ospitarla, ma soprattutto a narrarla come se fosse il copione di una commedia teatrale. Perché occorre riflettere che quando il dolore comincia a parlare, a gridare e a spedirci parole come remissive non si può ne trascurarlo ne tantomeno fingere che esso non ci sia o che non faccia parte di noi. È radicato e sepolto nel nostro sottosuolo come un reperto archeologico e adesso, che è riemerso in superficie, pretende di essere ascoltato. A questo punto bisogna iniziare a scavare e lasciarsi soffrire senza tormentarsi troppo. Si deve avere la fermezza e il coraggio di dispiegare e distendere la sua parola. Molte persone infatti preferiscono scappare di fronte al dolore perché scorgono nella fuga un luogo sicuro e la via più semplice. Io sostengo che sia anche la più errata perché la fuga non ci conduce da nessuna parte, anzi, penso che ci incanali verso, l’odio, l’esasperazione, la tristezza. Accettare l’ascolto del dolore diviene una convinta sperimentazione su se stessi.

Le parole che ci guariscono da chi dovrebbero essere pronunciate? Siamo noi umani a pronunciare e proferire le parole guaritici derivanti dall’Altro. L’inconscio. La sua parola medicalizza la “nostra” sofferenza interiore.

Molti parlano e pochi ascoltano, molti dicono cose schiocche ed inutili che si fa bene a non ascoltare, quando è necessario fare un discernimento sano e proficuo per noi stessi e per il nostro interlocutore che sia verbale o scritto? Purtroppo ci sono sempre più persone che non hanno più la volontà di ascoltare l’altro. Forse hanno paura di udire qualche parola che le possa condurre a un pensiero o a una riflessione profonda la quale scaturirebbe in loro profondo dolore. Personalmente sono una persona a cui piace ascoltare tutto, perché l’ascolto è un lavoro, un piacere e una possibilità per conoscere l’altro che parla. Dopo ogni dialogo, interessante o meno, avvio sempre una riflessione profonda, perché anche in ciò che non si ascolta o in ciò che reputiamo inutile e sciocco si può celare qualcosa di proficuo o interessante per noi stessi. 

 

Ringrazio Simone Ceccarelli per l’intervista e per il tempo che mi ha dedicato.

Anna Pizzini

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