Omnia vincit amor et nos cedamus amori, scriveva Virgilio nelle Bucoliche, ormai più di 2000 anni fa. Il romanzo biografico di Agrimi ne è una testimonianza più che valida, supportata dalla prova più affidabile che si possa ricercare, la realtà di un passato non troppo lontano. La storia che lui racconta è, infatti, quella di Renato e Letizia, a cui è indirizzata anche parte della dedica iniziale del libro, ringraziati “per la mia vita”: facilmente deducibile sin da subito, dunque, che l’autore conosca molto da vicino i due protagonisti del romanzo, i suoi genitori.
Ci piace immaginare il momento in cui, illuminato dal fascino di una storia d’amore d’altri tempi, l’autore ha deciso di farcene dono; ci piace immaginarlo bambino, o forse appena ragazzo, pendere dalle labbra di mamma e papà che, con la gioia nel cuore, raccontano la loro avventura, lo mettono al corrente di quale strana vicenda egli stesso sia frutto, come un fiore sbocciato dopo un aspro inverno di avversità. Ed è a questo punto che, sempre nella nostra fervida immaginazione, lui decide di scrivere.
Inizia a raccontare, così, di come Renato, un giovane di grande maturità e di origini pugliesi arruolato nella Divisione “Cosseria”, incontri Letizia, una bella ligure ancora adolescente ma con il terrore della guerra ben fissato negli occhi, vissuto sulla propria pelle. Il contesto, infatti, è quello della Seconda Guerra Mondiale in Italia, un paese lacerato da divisioni ideologico-politiche molto forti, divisioni che riguardano anche singole famiglie e che ne mettono uno contro l’altro i membri. Il divario di questa Italia è anche linguistico, il Paese è neonato e non c’è ancora una lingua nazionale che metta tutti d’accordo e in comunicazione, le barriere culturali fra regioni differenti, soprattutto fra Nord e Sud, sono per questo ancora molto forti e violente. Due retroterra geografici e culturali molto diversi per i protagonisti che, però, per un caso voluto dal destino, si incontrano una sera di fine marzo del 1941, quando lui fa ingresso nell’osteria gestita dalla famiglia di lei, per un incontro tanto decisivo per le vite di entrambi quanto fugace, quasi onirico.
È chiaro che comunque qualcosa di mai provato colpisce Renato,
probabilmente proprio quell’aria innocente di adolescente acerba
ma non lontana dal diventare una donna vera.
[…]
Anche lei, appena entrata nel locale, è colpita da quel bel ragazzo
che si esprime in un italiano perfetto e senza particolari inflessioni,
rimanendo così interdetta per qualche attimo.
Inizia così, per un gioco del destino, la storia d’amore fra i due, che è la storia di tante altre giovani coppie di italiani degli anni Trenta e Quaranta, tutte segnate dai colpi della guerra. In effetti, ciò che non manca in questo libro sono intervalli alla storia d’amore rilevanti, in cui si dà peso e spazio al contesto storico in cui ci troviamo: la guerra, i partigiani, l’esercito, la violenza, i bombardamenti, le scuole distrutte. Con decisa sobrietà l’autore riesce a raccontarci anche questi dettagli che, seppur meno piacevoli, non sono solo un contorno, quanto piuttosto consistente materia di cui si incarna la storia dei due protagonisti; senza la guerra, insomma, la loro vicenda non sarebbe stata tanto affascinante da dedicarci un romanzo.
I due saranno costretti, perciò, a dividersi, privati della libertà di vivere la loro storia d’amore: faranno i conti con gli orrori della guerra, la violenza fisica e carnale, il dolore del rientro a casa, un’Italia sprofondata nel caos all’indomani della fine del conflitto. Ma il lettore sa che ci sarà un lieto fine, perché la penna di Agrimi – la sua esistenza stessa – ne è prova tangibile. La loro determinazione e un po’ di fortuna li faranno incontrare di nuovo e, finalmente, coronare il loro sogno. Di grande importanza, in questo, saranno anche i personaggi secondari, tutti tesi in modo diverso a rendere felici questi ragazzi – il parroco, i genitori.
La storia è tracciata con toni delicati, romantici, malinconici, talvolta più duri nel descrivere con puntualità e dovizia di particolari la sofferenza dell’evento bellico; è un racconto che ci appassiona, ci coinvolge, riusciamo a immaginarceli davvero questi ambienti di metà secolo – una galleria fotografica in appendice, comunque, soddisfa la nostra sete di immaginazione -, fino ad avviarci verso la scoperta del finale, che sappiamo già felice, ma di cui vogliamo a tutti i costi sapere i contorni assunti.