Recensione: Ma’ecchia di Corrado Leoni
Quello di Corrado Leoni è un libro che colpisce. Non un semplice racconto ma una pagina della storia con una vena nostalgica, pregna di antichi echi di un Italia divisa tra ansiti di progresso e una forte identità contadina, dalle profonde radici che, tuttora, sono ancorate nella nostra identità.
Per la prima volta si assiste non a una critica sociale verso un sistema come quello della mezzadria, (che per la natura del contratto costituì a lungo un freno all’introduzione di metodi imprenditoriali nell’agricoltura) ma a una sorta di rivalutazione a volte venata di amarezza di valori perduti che:
Fu distrutta dalla disattenzione del clero, dalla superficialità della borghesia, dalla supponenza della classe operaia nella disgregazione clientelare della politica”
Ecco l’accusa che fa da sottofondo a una storia che nonostante la sua semplicità, non ha nulla da invidiare ai gradi racconti fantastici, perché la magia che percorre la storia di Maria è reale e intensa. Maria è il simbolo di un’intera civiltà con sue regole ben precise, con una forte struttura portante fatta di cicli naturali applicati alla vita, con una comunità coesa e forte che faceva della solidarietà e del mutuo soccorso la rete attraverso cui gestire tensioni sociali e ansia di progresso, con tutti i fili di sostegno, aiuto reciproco, confidenza sostegno e conforto. La società contadina era immersa in un mondo per nulla ostile, dove i cicli di vita e morte scandivano il tempo e si identificavano nel passaggio delle stagioni, dove le conoscenze erboristiche fornivano aiuto immediato e reale per mantenere viva e sana una società che era specchio del cielo. E’ questa solidarietà che il progresso borghese cercò, e forse ci riuscì a sgretolare. La cultura contadina con la sua attenzione al mondo naturale, al culto dei morti, al suo rispetto per il tempo e per la vita in ogni sua forma riusciva a collocare ogni età nell’intricato arazzo dell’esistenza. Ma’ecchia non è l’anziano identificato come peso della società, poiché improduttivo da un punto di vista economico, ma ne è il cardine, il punto focale in cui convergono passato, presente e futuro, in quanto depositario di tradizioni, di storie e di miti, quelli che identificano e fondano davvero una società.
“Ma’ecchia, al contrario, consapevole del gravame degli anni si sentiva investita di una missione che la coinvolgeva nel futuro quindi la sua età era secondaria rispetto allo scopo di vitae ai motivi per riempirla di affetto ed opere. Sentiva nel corpo una vitalità smorzata da indolenzimento nelle gambe, fiacchezza nelle braccia, pesantezza nel corpo anche per il troppo tempo che quel pomeriggio aveva passato seduta nella sedia di vimini….Ebbe un momento di smarrimento, perché la vecchiaia non è una malattia da cui si può guarire ma un momento della vita, da affrontare e riempire di tutta l’esperienza accumulata”
Il futuro, in questo meraviglioso schema è soltanto potenzialità immanifesta di un qualcosa in embrione che po’ o non può avvenire, mentre l’anziano rappresenta qualcosa di reale e tangibile come il passato che si riversa nel presente e lo rende vivo reale e unico fondamento di una società che altrimenti, se ansiosamente proiettato nel domani, diventa evanescente.
Un domani senza passato è mera illusione e schiavitù e la schiavitù non fa altro che stagnare la vita.
Il libro di Leoni non vuole essere e non è un apologia di un tempo idilliaco e mitico da cui ripartire ( pecca di molti libri pseudo storici) è una critica forte e incisiva a un’evoluzione insensata che, invece da ripartire dalla basi adattandole ai cambiamenti, fa semplicemente tabula rasa di ogni tradizione, trovandosi poi incapace di costruire alcunché poiché priva di riferimenti. Perché sono i miti, sono le storie a decidere in fondo, l’identità di un popolo, di una cultura di una civiltà. E verso quei miti noi siamo responsabili. Ecco il dramma della modernità: una ribellione contro la tradizione, una voglia distruttiva di ricominciare senza però, produrre alternative da suggerire. Il progresso non dà risposte, non può darle poichè ha tolto di mezzo quelle domande fondamentali che sono fornite proprio dal passato messo sotto accusa. Ecco che nonostante la diffusione dell’alfabetizzazione non abbiamo prodotto cultura, ecco che la democrazia ha livellato i talenti e le attitudini, trasformandosi nel peggior incubo di Platone: l’uguaglianza indiscriminata delle identità, senza che questa possano avere il loro segno distintivo. Tutti uguali e tutti omogenei, tutto può nascere ma nulla alla fine può crescere. Ed è questo che ci rende prede fragili e inconsapevoli delle distorsioni patologiche della nostra società. La bellezza è stata sostituita dallo stereotipo, le rughe, segni della saggezza del tempo, vengono nascoste con vergogna da plastica e altri intrugli. Società allo sbando, decadente, persa nella sua ossessiva ricerca del benessere materiale, ignora la vita con i suoi molteplici echi, persa nell’osare, nel opprimente superamento dei limiti a ogni costo. Una società che scardina la sacralità di un corpo femminile, stupendo nella sua funzione di donare la vita:
“sorrise al pensiero di aver nutrito tanta gente con il suo seno, ora pendente ma un tempo prosperoso e ricco di nutrimento..le sembrò di essere al centro dell’universo, unica..”
Ma’ecchia è una Dea, la Dea per eccellenza, perché non lontana dalla vita che muore e rinasce:
“…il padre era stato accolto dalla terra come nel grembo di una madre….la terra era madre e trasformava tutto ciò che accoglieva, dava forza ai semi, linfa alle piante, sostegno e rifugio per ogni essere vivente. L’aria era sollievo del corpo, dell’anima, l’acqua la fonte della vita e refrigerio, il sole con la sua luce portatore di calore e regolatore del nascere e del morire. Queste sensazioni proiettavano dentro di lei una consapevolezza nuova come se quanto avesse vissuto precedentemente maturasse in lei una persona diversa”
Affronta la vita con dignità e stupore nonostante le difficoltà e i disagi del vivere. E’ generosa, curiosa e saggia. Custodisce ricordi e storie, porte tra le due dimensioni del tempo. E’ emblema non soltanto di una cultura contadina ma della forza indomita di ogni donna, parte fondamentale del nostro percorso di crescita umana.
Voglio ringraziare l’autore non soltanto per aver dato alla luce un libro intenso e ben scritto, libro che emoziona e incanta. Ma lo voglio ringraziare perché oggi, in questi tempi cosi cupi, in cui la femminilità viene denigrata, oltraggiata e uccisa ha dato a tutte le donne, giovani e anziane un modello di donna importante che può davvero fare la differenza per ogni giovane che si affaccia alla vita, per ogni matura che intende non cedere e per ogni anziana che si sente esclusa. Grazie a Corrado Leoni per averci omaggiato in questo modo sublime.