Ad un passo dal baratro
Non è una profezia di Cassandra, né un discorso da ambientalisti (e, per inciso, non ci sarebbe nulla di male): il clima della Terra sta cambiando, determinando in questo modo allarmanti fenomeni provocati dal surriscaldamento globale. Maturata la percezione dei problemi ambientali, diversi i gridi di allarme lanciati da più parti.
Ultimo, in ordine cronologico, è quello diffuso a livello mondiale dal WWF, il cui rapporto dimostra che la Terra non è più capace di rigenerare ciò che viene consumato, né di assorbire e “metabolizzare” l’intervento dell’uomo. Lo studio, che per due anni ha analizzato il ritmo di consumo di risorse naturali, stima che negli ultimi trent’anni le popolazioni di vertebrati hanno subito un tracollo di almeno 1/3, e nello stesso tempo l’impronta ecologica dell’uomo – ovvero “quanto pesa” la domanda delle risorse naturali da parte delle attività umane – è aumentata ad un punto tale che numerose risorse, che si credeva solo poco tempo fa inesauribili, adesso iniziano a diventare rare.
Tre miliardi di persone (India e Cina in primis) stanno diventando consumatori ed hanno fame di cemento e sete di petrolio. Hanno voglie occidentali, e sognano auto di lusso.
E intanto i minatori per trovare le materie prime devono scendere dentro gli incavi di un pianeta sempre più violentato.
Il mondo che abbiamo disegnato è qua, un mondo tetro e incupito. Sempre meno spazi per una natura che deve fare ogni giorno i conti con una urbanizzazione selvaggia.
Meno spazio per i nostri sogni, meno uccelli dentro i nostri cieli, meno natura incontaminata.
Secondo alcune stime le risorse di petrolio alle quali possiamo ancora attingere si stanno esaurendo.
Entro 20 anni, infatti, l’ultima goccia sarà stata consumata. E noi, incuranti, corriamo inesorabilmente verso un destino cruento e sembriamo incapaci di agire.
Segnalare il pericolo vestendosi da Cassandra non ha mai prodotto risultati significativi.
Noi non siamo scienziati e non possiamo proporre dei modelli dinamici statistici. Siamo persone semplici, a cui è stato riferito che oggi il petrolio costa più di 100 dollari al barile e che solo dieci anni fa costava appena 10 dollari a barile.
Cosa accadrà, non tra vent’anni, ma molto prima, quando il prezzo del greggio avrà raggiunto cifre insostenibili?
Come andremo a lavoro? Come accenderemo le luci delle nostre abitazioni? Come ci riscalderemo? Come funzioneranno le attività industriali?
Il futuro è dietro l’angolo e la questione rimane irrisolta. Dovrebbe essere invece il tema della discussione quotidiana. Dovrebbe coinvolgere la scienza e la tecnica, ma anche la creatività di ciascuno di noi.
Ci sono due paradossi in questa situazione: il primo è che solo una recessione economica globale potrebbe rallentare la corsa del prezzo del greggio, ovvero una cura peggiore della malattia. Il secondo è che siamo ormai testimoni quotidiani dello sbilanciamento climatico del pianeta, ma l’unica preoccupazione collettiva sembra essere il contenimento del prezzo del petrolio (incredibile!). Anziché misure atte a diminuire i consumi e sviluppare fonti energetiche alternative.
L’ingordigia delle multinazionali rischia di trascinare il genere umano dentro il baratro di un nuovo medio-evo (nell’accezione negativa del termine, o se vogliamo oscurantista).
Ma non tutto è stato detto. La sfida che coinvolge tutti è portare il nostro sistema di produzione e consumo ad alti livelli di sostenibilità, riducendo in modo significativo i valori di impatto ambientale che attualmente raggiungiamo.
Ciò che conta è mantenere viva l’attenzione, finché la sostenibilità da azione volontaria diventi automatica, creando così occasioni di nuovo sviluppo, che soddisfino vecchie esigenze di vita.
C’è ancora la musica e l’arte, c’è ancora il sogno. Chiudiamo gli occhi per un attimo e immaginiamo un mondo fatto da persone consapevoli, che sanno scegliere e che scommettono subito nell’energia rinnovabile.
Continuiamo a sognare linee ferrate veloci che sostituiscono il trasporto su gomma, sogniamo parchi verdi curati e che arricchiscono le nostre città.
Sogniamo distese di cellule fotovoltaiche che producono energia pulita, nuove tecnologie applicate ai geyser ed ai vulcani.
Un mondo capace di eliminare gli sprechi, che sceglie di combattere l’inquinamento e la dissipazione delle materie prime con semplici gesti quotidiani dettati da una politica consapevole.
Una piccola, minuscola legge basterebbe, da sola, ad imporre ai produttori di ridurre i contenitori che ogni giorno fanno bella mostra di sé sugli scaffali dei nostri supermercati e nei nostri centri commerciali. Pensiamo un attimo, ad esempio, ai cartoni luccicanti e colorati che avvolgono i prodotti. Hanno un solo scopo: autoreclamizzare il prodotto con sfavillanti involucri di cellofan, che avvolgono carta, su altra carta.
Non è complicato, come non sarebbe complicato sviluppare un virtuoso circolo di raccolta differenziata. Possediamo già la tecnologia necessaria per trasformare i rifiuti riutilizzabili o addirittura in energia a costi accessibili. Qualcosa insomma si può fare, altri l’hanno già fatto.
In Brasile, ad esempio, da decenni la benzina verde è veramente “verde”, cioè bioetanolo prodotto dalle piantagioni di canna da zucchero.
In questi casi si dice: per fare questo ci vorrebbe un mondo consapevole ed un respiro politico ampio. Si sa, il respiro dei nostri politici non supera il ristretto spazio di un bizantinismo esasperato che si avvolge su se stesso.
Forse una coscienza collettiva che travalichi l’idea stessa che l’ecologia sia solo banale e superficiale politica, potrebbe ancora spingerci verso la direzione giusta, verso un mondo che sogna ad occhi aperti cieli azzurri e lievi colline.
Di chi è la colpa? Di tutti quelli che non si assumono responsabilità, certo i politici in prima fila, ma noi siamo parte del tutto e se i nostri figli dovessero vivere in un mondo impossibile non additerebbero al tale politico di tale schieramento, o al segretario di quel partito, ma accuserebbero tutti noi, l’intera generazione, che poteva scegliere e non ha scelto…