Cultura

I Viceré è il romanzo più celebre di Federico De Roberto

I Viceré è il romanzo più celebre di Federico De Roberto, ambientato sullo sfondo delle vicende del risorgimento meridionale, qui narrate attraverso la storia di una nobile famiglia catanese, quella degli Uzeda di Francalanza, discendente da antichi Viceré spagnoli della Sicilia ai tempi di Carlo V.

 

Giuseppe, dinanzi al portone, trastullava il suo bambino, cullandolo sulle braccia, mostrandogli lo scudo marmoreo infisso al sommo dell’arco, la rastrelliera inchiodata sul muro del vestibolo dove, ai tempi antichi, i lanzi del principe appendevano le alabarde, quando s’udì e crebbe rapidamente il rumore d’una carrozza arrivante a tutta carriera; e prima ancora che egli avesse il tempo di voltarsi, un legnetto sul quale pareva fosse nevicato, dalla tanta polvere, e il cui cavallo era tutto spumante di sudore, entrò nella corte con assordante fracasso. Dall’arco del secondo cortile affacciaronsi servi e famigli: Baldassarre, il maestro di casa, schiuse la vetrata della loggia del secondo piano intanto che Salvatore Cerra precipitavasi dalla carrozzella con una lettera in mano.
«Don Salvatore?… Che c’è?… Che novità!…»
Ma quegli fece col braccio un gesto disperato e salì le scale a quattro a quattro.
Giuseppe, col bambino ancora in collo, era rimasto intontito, non comprendendo; ma sua moglie, la moglie di Baldassarre, la lavandaia, una quantità d’altri servi già circondavano la carrozzella, si segnavano udendo il cocchiere narrare, interrottamente:
«La principessa… Morta d’un colpo… Stamattina, mentre lavavo la carrozza…»
«Gesù!… Gesù!…»
«Ordine d’attaccare… il signor Marco che correva su e giù… il Vicario e i vicini… appena il tempo di far la via…»
«Gesù! Gesù!… Ma come?… Se stava meglio? E il signor Marco?… Senza mandare avviso?»
«Che so io?… Io non ho visto niente; m’hanno chiamato… Iersera dice che stava bene…»
«E senza nessuno dei suoi figli!… In mano di estranei!… Malata, era malata; però, così a un tratto?»
Ma una vociata, dall’alto dello scalone, interruppe subitamente il cicaleccio:
«Pasquale!… Pasquale!…»
«Ehi, Baldassarre?»
«Un cavallo fresco, in un salto!…»
«Subito, corro…»
Intanto che cocchieri e famigli lavoravano a staccare il cavallo sudato e ansimante e ad attaccarne un altro, tutta la servitù s’era raccolta nel cortile, commentava la notizia, la comunicava agli scritturali dell’amministrazione che s’affacciavano dalle finestrelle del primo piano, o scendevano anch’essi giù addirittura.
«Che disgrazia!… Par di sognare!… Chi se l’aspettava, così?…»
E specialmente le donne lamentavano:
«Senza nessuno dei suoi figli!… Non aver tempo di chiamare i figli!…»
«Il portone?… Perché non chiudete il portone?» ingiunse Salemi, con la penna ancora all’orecchio.
Ma il portinaio, che aveva finalmente affidato alla moglie il piccolino e cominciava a capire qualcosa, guardava in giro i compagni:
«Ho da chiudere?… E don Baldassarre?»
«Sst!… Sst!…»
«Che c’è?»

Inizia nel 1855 con la morte della principessa Teresa Uzeda di Francalanza, crudele e dispotica, che nomina eredi due figli, il primogenito Giacomo e il prediletto terzogenito Raimondo, lasciando solo legati minori agli altri figli: Angiolina e Lodovico, monaci, Chiara, moglie del marchese di Villardita, Ferdinando e Lucrezia, non sposati. Mentre in famiglia sorgono contrasti sulla divisione dell’eredità, il principino Consalvo, figlio di Giacomo, viene mandato a studiare al ricco convento di San Nicola. Raimondo si innamora di donna Isabella Fersa, mentre Lucrezia s’invaghisce del giovane avvocato liberale Benedetto Giulente. Con lo sbarco dei Mille in Sicilia, lo zio Gaspare si rende popolare presso i rivoluzionari. Benedetto Giulente si unisce ai garibaldini e viene ferito nella battaglia del Volturno, e rientra a Catania accolto da eroe; superando le resistenze della famiglia, sposa Lucrezia. Chiara, finalmente incinta dopo lunga attesa, partorisce un feto mostruoso che muore subito. Dopo il plebiscito che sancisce l’unione al Regno d’Italia, Gaspare nel 1861 viene eletto deputato, carica che sfrutterà per arricchirsi.
Il richiamo ancestrale alla nascita di un mostro è un riferimento non casuale alla nascente unità d’Italia.
La delusione per l’esito del processo risorgimentale è un tema ricorrente nella letteratura italiana del secondo Ottocento e del Novecento e risulta particolarmente evidente in alcuni dei maggiori autori di origine siciliana come Verga, Pirandello e Tomasi di Lampedusa. Tra questi, Federico De Roberto.

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