Favole

Le prefazioni di Luigi Capuana

Ecco un grande autore che decide di raccontarsi in modo diretto ai sui piccoli lettori, interessante il tono, il ritmo, nella stessa prefazione il grande Luigi Capuana si fa “piccolo” per farsi intendere. In queste prefazioni l’analisi per mette di chiarire il suo punto di vista: lui pur essendo profondo studioso e oseremmo dire conoscitore scrupoloso dei segreti della lingua, sceglie volutamente un linguaggio semplice e diretto, puntuale con una ridondanza che aiuta il giovane lettore (i ragazzi erano i destinarti) ad appropriarsi dell’intero messaggio.
Questo aspetto del grande Luigi Capuana deve essere evidenziato ancora di più secondo il mio punto di vista, vi lascio dunque alla lettura delle splendide prefazioni ai suoi testi scritte dal grande autore siciliano.

Gianfranco Natale
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Queste fiabe son nate così. Dopo averne scritta una per un caro bimbo che voleva da me, ad ogni costo, una bella fiaba, mi venne, un giorno, l’idea di scriverne qualche altra pei miei nipotini.
In quel tempo ero triste ed anche un po’ ammalato, con un’inerzia intellettuale che mi faceva rabbia, e i lettori non immagineranno facilmente la gioia da me provata nel vedermi, a un tratto, fiorire nella fantasia quel mondo meraviglioso di fate, di maghi, di re, di regine, di orchi, di incantesimi, che è stato il primo pascolo artistico delle nostre piccole menti.
Vissi più settimane soltanto con essi, ingenuamente, come non credevo potesse mai accadere a chi è già convinto che la realtà sia il vero regno dell’arte. Se un importuno fosse allora venuto a parlarmi di cose serie e gravi, gli avrei risposto, senza dubbio, che avevo ben altre e più serie faccende pel capo; avevo Serpentina in pericolo, o la Reginotta che mi moriva di languore per Ranocchino o il Re che faceva la terza prova di star sette anni alla pioggia e al sole per guadagnarsi la mano di un’adorata fanciulla. Avevo anche la non meno seria preoccupazione del giudizio di quel pubblico piccino che irrompeva rumorosamente, due, tre volte al giorno, nel mio studio, per sapere quando la nuova fiaba sarebbe finita. Quei cari diavoletti, che poi mi si sedevano attorno impazienti, che diventavano muti e tutti occhi ed orecchi appena incominciavo: C’era una volta…, mi davano una gran suggezione. Pochi autori, aspettando dietro le quinte la sentenza del pubblico, credo abbiano tremato al pari di me nel vedermi davanti quelle vispe e intelligenti testoline che pendevano dalle mie labbra, mentre io tentavo di balbettare per loro il linguaggio così semplice, così efficace, così drammatico, che è l’eccellenza naturale della forma artistica delle fiabe. Non mi è parso superfluo dir questo al benigno lettore, pel caso che il presente volume trovasse qualcuno che volesse giudicarlo non soltanto come un libro destinato ai bambini, ma anche come opera d’arte. Il mio tentativo ha una scusa: le circostanze che lo han prodotto. Senza dubbio non mi sarebbe passato mai pel capo di mettere audacemente le mani sopra una forma di arte così spontanea, così primitiva e perciò tanto contraria al carattere dell’arte moderna. Rivedendo le bozze di stampa ho sentito un po’ di rimorso. Non commettevo forse un’indegnità chiamando il pubblico a parte di quella mia deliziosa allucinazione che io non posso mai rammentare senza commozione e senza rimpianto? Allora ben mi stia, se le Fate che vennero ad aleggiare tra le bianche pareti del mio studio mentre il sole di gennaio lo scaldava col tepore dei suoi raggi, mentre i passeri picchiavano famigliarmente col becco all’imposta chiusa della finestra e i miei cari diavoletti non osavan rifiatare avvertendo la presenza delle Dee; ben mi stia, se le Fate, per dispetto, abbandoneranno ora il mio libro alla severa giustizia della critica!
Luigi Capuana, Roma, 22 giugno 1882

 

Rammentate voi, bambini, il racconta-fiabe, colui che vi raccontò le storie di Spera di sole, di Ranocchino, di Cecina, di Testa-di-rospo, e di tant’altra gente meravigliosa? Se ve ne rammentate, dovete anche rammentarvi che egli pensò di regalare le sue fiabe al mago Tre-Pi, Visto che voialtri non volevate più sentirle, perché le sapevate tutte a mente. Egli sperava che il mago Tre-Pi conservasse quelle fiabe nei cassetti del suo museo, imbalsamate insieme con le altre fiabe antiche. Il Mago disse: — Ah, sciocco, sciocco! Non vedi Che cosa hai in mano? Il raccontafiabe guardò: aveva in mano un pugno di mosche. E tornò addietro scornato; e di fiabe non ne volle più sapere, dopo che le Fate gli avevano ripetuto: — Fiabe nuove non ce n’è più; se n’è perduto anche il seme. Ora avvenne che non sapendo egli a qual altro mestiere darsi, rimase lungamente disoccupato. Passava le giornate al sole, davanti l’uscio di casa sua; e spesso pensava a quelle care fiabe, che gli si erano mutate in un pugno di mosche. I bambini che lo vedevano sbadigliare su la soglia dell’uscio, gli domandavano: — O che non ce n’hai più fiabe nuove, raccontafiabe? Egli alzava le spalle, scrollava la testa e non rispondeva. Dove andare a pescarle? Gli strani oggetti che gli erano stati regalati da fata Fantasia, non potevano più servire. Ognuno di essi gli aveva già suggerito la sua fiaba, appena egli l’aveva preso in mano; e dopo non c’era stato verso di cavarne più niente. Tornare da fata Fantasia gli pareva una bella sfacciataggine. E poi, come rintracciare un’altra volta Cenerentola, Cappuccetto rosso, Pelosina, Pulcettino e tutti gli altri che lo avevano condotto alla grotta della Fata e l’avevano pregata di aiutarlo? La fiera delle Fate ricorre una volta ogni mille anni; e il capitarvi in mezzo era stata proprio una rara fortuna. Per ciò egli sbadigliava, e con le mani in mano, godevasi il sole, in mancanza d’altro, su la soglia dell’uscio. Una notte, non potendo chiuder occhio, gli passò pel capo di cercare il sacchettino dov’erano conservati il ranocchio, la stiacciata, l’arancia d’oro, la serpicina, l’uovo nero, i tre anelli e le altre cosettine regalategli dalla Fata.
— Chi sa? Dopo tanto tempo, forse avevano ripreso la loro virtù. Saltò dal letto, corse a cercare il sacchettino riposto in un armadio, e tentò di fare come soleva. Prese a caso i tre anelli, e disse:
— C’era una volta… Ma una volta, quantunque non sapesse neppure mezza parola di quel che doveva dire, appena aperta la bocca, la fiaba gli usciva filata, quasi l’avesse saputa a mente da gran tempo. Invano ora ripeté:
— C’era una volta…! C’era una volta…! Gli usciva di bocca soltanto il fiato. Stizzito, afferra il mortaio, ci vuota il sacchettino dentro, e poi pesta e pesta; ridusse in polvere ogni cosa. Ne prese un pizzico, e strofinandolo con disprezzo fra le dita, esclamò:
— Così non mi verrà più la tentazione di provare, e dire: C’era una volta!…
Ma non aveva ancora finito di pronunziare queste parole, che già su la punta della lingua gli s’agitava una fiaba nuova. E se la raccontò da sé, divertendosi come un bambino. Allora, sbalordito, prese un altro pizzico di polvere e:
— C’era una volta!… Ed ecco un’altra fiaba nuova nuova, ch’egli si raccontò da sé, divertendosi come un bambino. Il pover’uomo, dall’allegrezza, non capiva nella pelle. Gli pareva mill’anni che si facesse giorno, per andare per le piazze e per le vie:
— Fiabe, bambini, fiabe! Chi vuol sentire le fiabe! Raccolse delicatamente nel sacchetto tutta la polvere del mortaio, senza perderne un granellino; e, appena fatto giorno, uscì di casa. Non era tranquillo però:
— Chi sa se queste fiabe piacciono quanto quell’altre? E gli tremava un po’ la voce nel gridare: — Fiabe, bambini, fiabe! Chi vuol sentire le fiabe! I bambini accorsero e si divertirono:
— Un’altra! Un’altra! E ne mise fuori più d’una dozzina. Chi non le ha udite dalla bocca del raccontafiabe, può leggerle con comodo in questo libro. Sono proprio le ultime. Al povero raccontafiabe è accaduta una disgrazia. Una sera, stanco di aver raccontato fiabe tutto il giorno, si buttò sopra un sedile di pietra del giardino pubblico e si addormentò. Allo svegliarsi, cerca e ricerca il sacchettino con la polvere portentosa che gli suggeriva le fiabe, non lo ritrovò più. E lo ricerca tuttavia, poverino!
Luigi Capuana, Roma, 13 settembre 1893

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