Sicilia

Storia della Sicilia: Età contemporanea

Alcune insurrezioni rivelarono qual era lo stato d’animo dei Siciliani, finché il 4 aprile 1860, scoppiò la rivolta, capeggiata da Francesco Riso, che fu detta del convento della Gancia. Le truppe borboniche ne ebbero abbastanza facilmente ragione, ma essa offrì il modo a Crispi di dimostrare a Garibaldi come l’isola fosse pronta ad accogliere la spedizione che questi aveva in animo di fare, dopo però che il popolo siciliano si fosse sollevato. La campagna nell’isola contro le forze borboniche fu molto più rapida di quanto si credesse: il 14 maggio da Salemi Giuseppe Garibaldi assumeva la dittatura della Sicilia in nome di Vittorio Emanuele II; il giorno dopo sconfiggeva il nemico a Calatafimi, aprendosi la via per Palermo, ove giungeva il 27 maggio. Il 2 giugno il generale formava un governo, nel quale la figura predominante era il Crispi come primo segretario di Stato e, poco dopo, cacciava dall’isola l’inviato di Cavour, il La Farina, ma accettava la collaborazione del Depretis, pure inviato da Cavour, nominandolo anzi prodittatore. Con la battaglia di Milazzo del 20 luglio tutta la Sicilia era conquistata e la spedizione continuava nel continente. Dopo il plebiscito del 21 ottobre, si chiudeva la fase del governo provvisorio garibaldino e le province siciliane divenivano parte del Regno d’Italia.

 

Il popolo, tradito nelle promesse di riforma (soprattutto agraria) e dai soprusi dei nuovi governanti, ebbe maggiormente a soffrire dell’unità. Dopo l’unificazione si alimentò quello che fu detto il fenomeno del brigantaggio post-unitario, fenomeno sociale di ribellione, appunto, al nuovo governo e all’ordine costituito. Tale situazione portò alla rivolta di Palermo del settembre del 1866, in cui si trovarono unite a combattere il governo della Destra e le due opposizioni: da un lato il clero e le classi popolari e dall’altro i democratici e repubblicani, che raccoglievano parte della borghesia delusa dell’unità. Per sette giorni Palermo fu tenuta sotto scacco dagl’insorti e si dovette mandare il generale Raffaele Cadorna per aver ragione della rivolta, venuta alla storia come rivolta del sette e mezzo.

 

Dal 1886 al 1894 le condizioni dell’isola invece di migliorare peggiorarono, soprattutto in conseguenza delle leggi economiche del governo centrale, favorente l’economia settentrionale, e della rottura dei rapporti commerciali con la Francia nel 1887 che danneggiò notevolmente l’agricoltura meridionale. Nelle campagne il disagio dei contadini era aggravato dall’occupazione dell’esercito delle terre demaniali, che destò una viva resistenza e che portò al tragico episodio di Caltavuturo (gennaio 1893), quando le truppe governative spararono sui contadini uccidendone undici, mentre nelle campagne e nelle zolfare gli operai chiedevano o lavoro o aumento dei salari. Intanto, a cominciare dal 1890-91, la propaganda socialista era penetrata nell’isola ed erano sorti, numerosi, i Fasci dei lavoratori. Il movimento, che si estendeva sempre più, favorito dalla cattiva situazione economica, fu affrontato dal secondo governo del siciliano Francesco Crispi con la forza: fu decretato lo stato d’assedio e sospesa la libertà di stampa, furono sciolti i Fasci e gli arrestati deferiti ai tribunali militari. Le condizioni dell’isola non migliorarono granché, neppure durante il decennio giolittiano che anzi, con il protezionismo industriale, peggiorò la situazione del Meridione in grande prevalenza agricolo. Nel 1893 un palermitano fu presidente del Consiglio: Antonio di Rudinì. Nel Novecento lo sarà anche Vittorio Emanuele Orlando e, nella Repubblica, Mario Scelba, di Caltagirone.

 

Dopo la prima guerra mondiale anche in Sicilia si impose il fascismo. Ma il regime totalitario non riuscì a risolvere i problemi della Sicilia (nemmeno definitivamente quello della mafia, che pure con Cesare Mori si vantò di aver estirpato). Nella seconda guerra mondiale i bombardamenti e gli sbarchi anglo-statunitensi, nel luglio del 1943, provocarono danni notevoli e solo lentamente la Sicilia si risollevò. Il generale britannico Harold Alexander, che nella sua veste di comandante supremo dell’armata era anche governatore militare delle zone occupate, pose il colonnello Charles Poletti a capo dell’Ufficio Affari civili dell’AMGOT. Nel febbraio 1944 gli Alleati riconsegnarono l’isola al governo italiano del Regno del Sud, che nominò un Alto commissario per la Sicilia. Intanto, però, riprendeva forza l’antica tendenza all’indipendenza e all’autogoverno, che nel secolo precedente aveva spinto i siciliani a chiedere il distacco dall’Italia. Si sviluppò il movimento separatista, che tenne agitata la vita dell’isola, anche con le armi, tra il 1943 e il 1945, finché si andò spegnendo, anche per l’istituzione, con il Decreto regio 15 maggio 1946, della Regione Siciliana, che concedeva lo statuto speciale d’autonomia. Nel dopoguerra anche in Sicilia, come nelle altre regioni del Sud, frequenti furono le invasioni dei terreni da parte dei contadini affamati di terra e desiderosi di strapparne un pezzo al feudatario o al grosso latifondista fino all’approvazione della riforma agraria. Intanto nell’aprile del 1947 veniva eletto il primo parlamento siciliano, che il 30 maggio a Palermo eleggeva il primo governo regionale.

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