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Il digiuno dell’anima…

Leggere i libri autobiografici hanno avuto sempre su di me la sensazione di andare a frugare nell’animo dei protagonisti, è una sensazione strana ma avvicina il lettore all’autore. Nel caso di questo libro Il digiuno dell’anima: una storia di anoressia di Maria Vittoria Strappafelci, edito dalla Kimerik, la sensazione di essere nella vita, nell’animo della protagonista si è amplificato, dilatandosi fino a comprendere appieno il percorso di difficoltà, tragicità e rinascita che ha dovuto affrontare l’autrice in anni ed anni. Ora lei è rinata, vive felice ancora insieme a noi. Fosse solo per questo dobbiamo omaggiarla e ringraziarla, ci ha donato nero su bianco la sua vita. Il libro è un messaggio di speranza: da questa malattia se ne può uscire vittoriosi!

Il suo libro autobiografico parla di una gravissima malattia depressiva come l’anoressia. Quando si è manifestata? La mia malattia si è manifestata all’età di 18 anni in seguito a delle situazioni negative che ho vissuto da bambina sino all’adolescenza, una delle cause è stata la carenza di affetto e con una depressione il mio corpo si è ribellato cedendo alla malattia che è durata per 19 lunghi anni arrivando allo stato più grave e con la morte alla porta. Da quel momento ho preso consapevolezza del problema e mi sono curata.

Questo scritto è una testimonianza di tutto il suo percorso, il suo vissuto insieme a questa bestia feroce che divora dentro. Perché dovrebbe servire a chi lo legge? Il mio libro è scritto mettendomi a nudo in tutti i particolari e scrivendo momenti anche molto forti perché molti ancora oggi non si rendono conto cosa significhi la parola ”anoressia”,  giudicando chi soffre di questo disturbo un ‘capriccio’ per dimagrire e quindi non mangiare. Invece bisogna comprendere che questa malattia è una malattia psicologica legata a degli avvenimenti negativi che ci portiamo dentro la nostra anima e che la nostra mente si rifiuta in un certo senso di accettare. Sta qui la lotta dentro di noi per non darla vinta alla ‘bestia’ che vuole portarci all’inferno e alla morte. Il messaggio per chi legge il mio libro, sia per coloro che soffrono e sia per quelle che non ne soffrono, è di far comprendere che dal DCA se ne può uscire, anche quando la situazione è grave, come quella mia, e dare speranza anche a quei genitori che vivono un disagio in famiglia con una figlia/o con un disturbo alimentare.

È vero che questa malattia, come altre dipendenze, anche quando se ne esce, lo si resta sempre: la si porta nel cuore, nella mente, insomma… un po’ come gli alcolisti? Dipende molto da come si reagisce di fronte alla malattia durante il percorso di guarigione. Nel mio caso posso dire che oggi ho una vita normalissima come ogni essere umano, riprendendo i miei pasti e avendo con il cibo un rapporto ottimo e non violento, ascoltando principalmente il mio corpo e le esigenze che mi richiede, ascoltarsi, purtroppo, oggi molti non sanno farlo, danno libero sfogo all’eccesso. Però io mi riservo sempre quel 10% di paura che mi fa camminare sulla retta via, perché se la vita mi dovesse aprire le porte ad un grande dolore o ad un momento di difficoltà quando sono messa a dura prova, so che la ”bestia” sta nascosta dietro l’angolo, sempre in agguato e pronta ad assalirmi in ogni momento di debolezza. E qui sta la mia forza nel reagire di fronte ad un disagio che si può presentare all’improvviso, quindi vivo una vita tranquilla ma sempre con le ”antenne alzate”.

Il momento della rinascita come l’ha vissuto, è stato bello riappropriarsi della sua vita ma soprattutto della gestione dei suoi tempi? Il momento della rinascita devo dire che non è stato facile all’inizio. Innanzitutto ho trovato difficoltà nell’accettare la mia figura cambiare davanti allo specchio giorno dopo giorno, ho avuto crolli psicologici che sono riuscita a superare grazie alla terapia che seguivo in quel momento. Poi ho messo in pratica tutti gli elementi che la terapia stessa mi ha dettato durante il percorso per combattere questi pensieri e piano piano ho riacquistato l’autostima di me stessa amandomi nei cambiamenti. Anche per la vita sociale all’inizio non è stato facile. L’impatto con una realtà nuova mi metteva paura, ma allo stesso tempo mi incuriosiva, ed è stato proprio questo fattore a portarmi a socializzare, riprendere i vecchi rapporti di amicizia che la malattia mi aveva rubato chiudendomi in una crisalide di cristallo isolandomi da tutti gli affetti. Ma devo dire grazie ad una carissima amica che mi è stata vicino in quei momenti, lo è ancora adesso, perché con la sua pazienza ha cercato di spronarmi e farmi ritornare a vivere.

Una cosa che non tutti sanno è che l’anoressia – come altre dipendenze depressive – lascia dei segni fisici. Quali sono rimasti sul suo corpo? Nulla è gratis, vero? Purtroppo con l’anoressia si pagano i danni che si portano a vita e che in quel momento in cui viviamo questo disagio non ce ne rendiamo conto. Il vomito autoindotto con la sua acidità, per esempio, ha giocato un brutto colpo sul mio organismo a partire dai denti che me li ha corrosi tutti, mi sono dovuta far ricostruire e incapsulare ad uno ad uno riavendo di nuovo il mio sorriso a trecentosessanta gradi. Poi mi ha creato danni all’apparato gastrico e dell’esofago perché rigettando il cibo, i succhi gastrici hanno consumato tutte le parti protettive di questi organi causandomi varie patologie – adesso curo costantemente – ma che purtroppo porterò per sempre con me. Un altro danno molto grave, per me che sono donna, è il presentarsi dell’osteoporosi in età così precoce, poiché l’amenorrea (assenza del ciclo) durante la malattia mi ha provocato questo ulteriore disagio, ma che adesso è stabile e sotto controllo, grazie al ritorno del ciclo mestruale. Così tutto è ritornato a funzionare puntuale come un orologio svizzero. Ho avuto altri danni che ho curato e non ci sono più, ma i principali sono questi che ho elencato.

Ora la nuova Maria Vittoria come si vede e come si sente? Oggi mi guardo allo specchio e mi piaccio anche quando sono senza trucco. Mi sono guadagnata l’autostima di me stessa durante gli anni che ho vissuto, grazie a un lungo percorso di terapia sostenuta da una dottoressa fantastica con cui sono diventata anche amica. Cerco di mantenermi in forma e seguire le regole di vita che mi sono imposta anche durante i momenti più difficili, che capitano ad ogni essere umano, mantenere soprattutto un equilibrio psicologico stabile che mi permette di ascoltare ogni tipo di emozione che sento dentro l’anima. Insomma direi che oggi mi sento bene con me stessa e VOGLIO VIVERE, MI PIACCIO E MI AMO. Questo è quello che conta dopo aver attraversato un tunnel così buio e spaventoso.

Progetti per il futuro? Di progetti ne ho tanti e tanti sogni chiusi in un cassetto che ad uno ad uno sto tirando fuori. Per il momento mi dedico alla scrittura che è una delle mie più grandi passioni e anche un’ottima forma di terapia, mi aiuta ad esternare i miei stati d’animo, sia di gioia che di dolore.

Anna Pizzini

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