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Lo sfascio

Il libro d’esordio di Simona Maccarone, Lo sfascio, racconta dell’adolescenza di tre ragazze con problematiche diverse, molto importanti e attuali. Come dice l’autrice: “[…]parla anche di questo, del bisogno, soprattutto da parte di una mente giovane e matura prima del tempo, di cercare un senso, spiegazioni e cause per mettere il mondo in ordine.” Questa è un’intervista bellissima dove, oltre a conoscere un po’ l’autrice, ci fa comprendere come il libro sia nato, da quali esigenze e come leggerlo e comprenderlo appieno. Il romanzo è pubblicato dalla casa editrice Kimerik, si può acquistare on line o in libreria. Molto, molto consigliato!

La prima cosa che mi ha colpita è stata la copertina, simbolica, suggestiva, positiva e negativa, partiamo proprio da questo: di cosa parla il suo romanzo Lo sfascio e come ha scelto la copertina per rappresentarlo? “Lo sfascio” racconta il lato oscuro dell’adolescenza, parla di una verginità che si difende, di un’innocenza che annaspa, di una purezza che viene contaminata. È proprio la contaminazione uno dei temi principali della storia, non solo quella del corpo, attraverso l’abuso psicologico, fisico, sessuale e chimico che i personaggi subiscono o si infliggono da soli più o meno consapevolmente, ma soprattutto quella dell’anima. Ho voluto congelare, in una storia relativamente breve, quel momento dell’adolescenza nel quale una ragazza (o tre in questo caso) non si sente più bambina ma, al tempo stesso, brama e teme il diventare donna, mentre la perdita dell’innocenza infantile diventa un fantasma di miti, rimpianti e nostalgica malinconia. La copertina vuole trasmettere tutto questo: degli uccellini, creaturine tenere e fragili ma capaci di aprire le loro piccole ali e fare qualcosa di straordinario, volare alti nel cielo oppure cadere. Da una parte c’è il buio, l’ombra dell’angoscia e dell’inquietudine per un passato che pesa come un sasso nella tasca, dall’altra la luminosità piena di vita di quello che potrebbe essere un futuro tinto del colore della speranza. Gli uccellini, come le tre protagoniste, stanno proprio in mezzo, in bilico, nel loro presente: da quale parte voleranno (o cadranno)?

Sara, Daria ed Eva sono le tre protagoniste del suo romanzo, a quale si sente emotivamente più vicina? A tutte e a nessuna. Sembra una frase fatta ma nonostante questi tre personaggi siano talmente vivi nella mia mente da diventare a volte reali, come delle vecchie compagne di viaggio, non posso dire di sentirmi più vicina a una di loro rispetto alle altre due. Sono come tre volti di una stessa anima, come uno specchio scheggiato in tre parti. Sara è la cupezza, Daria l’ingenuità, Eva la speranza, almeno così si presentano all’inizio del romanzo: la trama mostrerà lo sviluppo delle loro personalità, ammesso che ci sia e che non sia tutto caratterizzato da un falso movimento, come l’ambiente in cui si muovono i personaggi, e potrà essere il lettore a decidere quanti passi indietro o in avanti ogni ragazza avrà fatto rispetto all’inizio. Ognuna di loro esprime il dolore e la paura a modo suo, in maniera a volte profonda, a volte ingenua.

Il romanzo ha una sua logica conclusione, non ha pensato di poterne fare un seguito? L’ho pensato e mi è stato anche chiesto da alcune persone a me vicine che hanno letto il libro, ma credo di poter quasi certamente affermare che la risposta è no. Quello che mi premeva dire è stato detto. “Lo sfascio” appartiene ad un’epoca diversa della mia vita rispetto a dove mi trovo ora e non credo che la rivisiterò, tuttavia… Mai dire mai.

Quindi non si sfugge al proprio destino, la vita non ci dona una seconda possibilità? A volte sì, a volte no. Sarebbe bello se tutto avesse un senso e se ci fosse sempre un motivo dietro ad ogni cosa, grande o piccola, che ci accade ma purtroppo non credo sia così. La malvagità, l’odio, la violenza e l’ingiustizia fanno parte di questo mondo tanto quanto la tenerezza, la gentilezza e l’umiltà: quante volte leggendo i giornali ci troviamo a scuotere a la testa e a chiederci “Ma perché succedono ancora queste cose?” L’uomo caccerà sempre il proprio simile in un modo o nell’altro e questo innescherà sempre tutta una serie di conseguenze che schiacceranno i più deboli: c’è chi riesce a rialzarsi, ad essere forte o diventarlo, e chi  si abbatte, perde fiducia o rinuncia perché crede di non avere alternativa. Il punto è che la maggior parte di quello che ci succede non ha alcun senso. È la Fortuna a reggere le nostre sorti e Lei gira beata, incurante delle nostre preghiere o dei nostri improperi. “Lo sfascio” parla anche di questo, del bisogno, soprattutto da parte di una mente giovane e matura prima del tempo, di cercare un senso, spiegazioni e cause per “mettere il mondo in ordine”: non è in fondo quello che l’essere umano cerca di fare da sempre?

Quando e come è germogliato in lei questo romanzo? Ho cominciato a scrivere il romanzo – il cui titolo era originariamente diverso – in terza liceo, con penna e quaderno. Ho portato il manoscritto con me al mare e a Roma e ho concluso la primissima scrittura al quarto anno delle superiori, riempendo complessivamente due quaderni che conservo ancora. Nel corso degli anni l’ho scritto al computer, corretto e modificato fino alla fine del mio percorso di studi: a quel punto ho sentito di avere tutti gli strumenti per la stesura definitiva e ho riscritto parola per parola il romanzo, sciacquando via gli eccessi adolescenziali e le macchie dell’inesperienza, nel tentativo di dare alla storia un tono più sobrio senza però perdere la freschezza della prima versione. Spero di esserci risuscita! Confesso di non sapere dire con esattezza da dove è nata questa trama: forse i personaggi sono sempre stati in me fin da piccola, quando mi divertivo a scrivere temi e storielle per passare il tempo, e poi hanno assunto una forma più precisa negli anni della formazione e mi hanno spinta a mettere su carta le loro voci e le loro storie.

Com’è stata la sua adolescenza? Tranquilla. Mi sono sempre concentrata molto sullo studio e sul non deludere i miei genitori, consapevole delle possibilità di istruzione che io ho avuto e delle quali loro e i miei nonni non hanno potuto godere. A volte penso che avrei dovuto divertirmi di più, ma non sono una che ama gli eccessi e la perdita di controllo. Mi piace stare con i piedi per terra e ho altre ambizioni.

Da scrittrice, quale libro ha letto e ha detto fra se: “questo lo avrei voluto scrivere io”? Sicuramente “Il cacciatore di aquiloni”. È un libro che mi ha molto cambiata, il primo romanzo a farmi commuovere. Ho sempre invidiato la capacità di questo autore di esprimere i sentimenti e le lotte dei suoi personaggi senza diventare sentimentale o propagandistico, soprattutto visto i temi delicatissimi che affronta.

È in progetto un altro libro? Per ora due. Di uno preferisco ancora non parlare. L’altro è una raccolta di racconti brevi che esploreranno varie tematiche, alcune delle quali già viste in “Lo sfascio”.

Anna Pizzini

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