Penelope alla vita

Penelope alla vita: “L’apocalisse dentro” Parte seconda

«Se l’Eden non fosse un giardino, se fosse una mente, sarebbe la tua. Perché quando mi ci sdraio sento il serpente arrivare: le foglie scansarsi, il terriccio bisbigliarmi all’orecchio le sue cattive intenzioni.

«Se l’Eden non fosse un giardino, se fosse un racconto, sarebbe questo. Perché passeggiandovi mi imbatterei in due donne che, concitate, duellano per il ruolo di voce narrante. Incuranti, entrambe, dei consigli di Dio. Irriverenti e calde come le fiamme che prima temono e poi bramano.

«Se l’Eden non fosse un giardino, se fosse un mostro, sarebbe a due teste. Le vostre. E se le tagliassi, ad ogni decapitazione, cento pensieri impuri trasuderebbero fuori come lattice dalle capsule immature del papavero, per stordire e tediare».

Jean Baptiste giace supino su un letto d’oro massicio, di cui il piano è sostenuto da due enormi cani dello stesso prezioso metallo. Ha in bocca una foglia dal colore verde intenso e la mastica con estrema lentezza. Come se volesse assaporarne ogni fibra, come se si aspettasse che tanta accortezza gli assicurasse un viaggio a ritroso nel tempo sino al punto nel tempo in cui la pianta è ancora seme che intorno ha solo umido terriccio.

Ha lo sguardo estasiato e perso in direzione del soffitto e, mentre una mano risale dal suo muscoloso e definito ventre in direzione del petto, biascica una domanda.

«E Giustizia? Come avete ucciso Giustizia? Raccontatemi…»

«Le abbiamo tagliato la testa con la sua stessa spada» Dice risoluta Lilith.

«Un taglio netto, improvviso, come il bacio che Lilith ha scoccato sulle sue aride labbra, un attimo prima che io approfittassi del crollo delle sue barriere e gliela sfilassi di mano per scagliargliela contro» aggiunge con una buona dose di piacere Penelope.

Strabuzza gli occhi l’uomo e le sue curate sopracciglia schizzano verso l’alto, mentre la bocca gli si spalanca per far spazio a uno stupore tanto inatteso quanto gradito. Poi getta lo sguardo verso il basso, in direzione del suo sesso che, risvegliato dal sadico racconto delle donne che ora gli giacciono a fianco, d’un tratto torna ad ergersi come un obelisco dinanzi a un tempio.

Penelope sorride compiaciuta mentre le sue dita, fingendo d’essere piccole gambe, gli camminano incontro. Quando gli sono sotto, per un attimo si fermano. Nessuno, nemmeno lei stessa, sa se per pudore o venerazione e prima che riesca a capirlo, la bocca di Lilith, con uno scatto animale lo avvolge e ingloba allo stesso modo dei pitoni con le proprie prede. Dopo averlo fatto fissa negli occhi Jean Baptiste, immobile e in attesa che i succhi gastrici decompongano il piacere di quella generosa eccitazione.

Sopraffatta dall’ingordigia del suo alter ego, Penelope ritrae la mano per lasciare che sia la voce la lama con la quale continuare a stuzzicare Jean Baptiste.

«Abbiamo poi messo la testa su un piatto e l’arma sul altro, per vedere quale dei due pesasse di più, e con nostro grande stupore i piatti sono rimasti alla medesima altezza. Forse perché chi pratica la giustizia, per farlo, deve inevitabilmente commettere un’ingiustizia nei confronti di qualcun altro e il bene, per continuare ad essere bene agli occhi degli uni deve per forza di cosa diventare male agli occhi di altri»

«Se l’Eden non fosse un giardino, se fosse un organizzazione, sarebbe Anarchia. Perché la bocca che accusa e anche quella che difende, e quella che nega è la stessa che regala piacere. E non c’è ordine in quel che accade, solo disordine che concepisce mondi che prima non esistevano. Come questo. Come noi»

Adora le parole di quel Europeo dalla pelle olivastra Penelope, così tanto che sente crescere dentro di lei il bisogno di sentirle addosso. Così, dopo aver gettato un ultimo sguardo alla compagna d’avventura, si mette a cavalcioni sul viso dell’uomo e inizia a strofinare il sesso sulla sua bocca carnosa.

«Parla… parla ancora» lo incita. Ma Jean Baptiste non riesce più a parlare, perché il desiderio è una nebbia che si posa su tutti i paesaggi che vorrebbe descriverle, una pagina strappata lungo la storia che vorrebbe leggerle. Così spalanca la bocca e le offre la lingua, non deve far altro perché pensa a tutto lei. E quando sente le sue unghie infilzarsi nella cute e, contemporaneamente, altre unghie infilzarsi nelle cosce, ha come l’impressione d’essere sdraiato su un letto di chiodi, ma dal verso sbagliato. E prova dolore, ma anche piacere. E si sente in trappola, ma allo stesso tempo libero.

«Perché non parli, Jean Baptiste, perché?»

Non si aspetta una risposta, vuole solo scivolare avanti e indietro su quel binario di piacere sino a finire il carburante.

Nella sua mente, intanto, corrono le immagini di quando a Petra rubò le briglie a Temperanza e poi gliele strinse al collo con tutta la forza che aveva in corpo. Lilith fissava immobile la scena con un ghigno sinistro disegnato sul suo pallido volto; mentre sentiva il respiro di quell’ultima virtù scemare e il suo corpo farsi sempre più debole, fino ad arrendersi proprio come si era arresa lei sino a quel momento… alla pazienza, ai modi pacati, all’annichilimento di tutte le forme di piacere e a favore di una morale che per anni era stata costretta a indossare dalle prime luci dell’alba fino a notte fonda. Aveva soffocato quella prigione proprio come quella prigione aveva soffocato lei e da semplice osservatrice era diventata complice e infine boia, e in quella città interiore aveva regolato tutti i conti con il passato.

Quanto torna alla realtà il culmine del piacere è uno schiocco di lingua. Giunge quando, con mani decise, Jean Baptiste le afferra le natiche e la obbliga a fermarsi per premere con rabbia su quella piccola leva che apre la diga e lascia esondare la vita. Come a Petra quando, serrati gli occhi dell’ultima grande nemica, un fragore lontano annunciò l’arrivo di una piena che, come un orgasmo, in un attimo riempì quella donna di pietra ferita e abbandonata a una vita che era un giardino e all’improvviso era diventata un deserto.

«Se l’Eden non fosse un giardino, se fosse una città, sarebbe Petra. E del deserto sarebbe la regina, perché nella vita non si ha mai davvero nessuno vicino se non se stessi. E se si vuole stare in buona compagnia, l’unico modo è diventare tante persone diverse».

«Quante?» chiede Penelope a Jean Baptiste, con occhi curiosi.

«Quante ne servono per viaggiare con entusiasmo»

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Eugenie Genin

Nel 2015 pubblica con la casa editrice Milena Edizioni il suo primo libro "Il basilico raccolto all'alba. Romanzo Erotico.

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