Società

A caccia di Pokémon!

Nostalgia, moda o curiosità? Impazza dal 15 Giugno la nuova applicazione in testa alle classifiche fra le app più scaricate per smartphone: “Pokémon Go”. Proveniente dagli Stati Uniti la new entry dei videogiochi permette a chiunque di vestire i panni di un vero allenatore di Pokémon. Grazie all’enorme successo riscosso, infatti, non soltanto i bambini sono stati travolti da quello che, soltanto a prima vista potrebbe essere un divertimento, ma anche i loro genitori che, ahimè, appartenendo alla generazione che ha visto il sorgere di questi “mostri tascabili” (Pokémon = pocket monsters) può fare ora un salto all’indietro, negli anni del loro lancio sul mercato. L’ideatore, l’informatico giapponese Satoshi Tajiri che lavorava per Nintendo, prese spunto dall’osservazione dei bambini giapponesi che amavano collezionare insetti; da questo ne scaturì il gioco: “Pokémon”… non è curioso?

         Certo che impersonare sul Game Boy un giovane allenatore, viaggiando in modo immaginario per città, campi e altri luoghi alla ricerca dei “piccoli mostri”, al fine di metterli in delle Pokéball per poi allenarli e farli combattere contro altri Pokémon rimane un gioco virtuale, che ci fa accumulare “score”, punteggi fermi su una classifica di uno schermo pixelato, ma poniamo la questione seriamente, perché noi che siamo educatori riceviamo ben presto le conseguenze dei comportamenti derivati dal famoso “Pokémon Go”: se il virtuale entra nella vita quotidiana, in modo più o meno sottile e lusinghevole, così come nella realtà dei nostri spazi condivisi con persone “in carne ed ossa”, che cosa accade? Il fenomeno ci da da pensare. Il meccanismo di gioco è simile a quello dei videogiochi di vent’anni fa, solo che il mondo da esplorare è quello reale. Passeggiando lungomare ci siamo imbattuti in un gruppetto di adolescenti che, ciascuno con il proprio smartphone, stava “acchiappando Pokémon”, ugualmente è accaduto per le vie del paese, dove al grido di: “L’hai preso?”-l’amichetto prontamente ha risposto- “No! Dov’era?” – ridacchiando, il corriere che era appena sceso dal suo furgone ha esclamato: “Guarda qua sotto…l’ho arrotato!”. Attivando il GPS, infatti, dopo avere scaricato l’app, e usando la fotocamera, veri e propri “pezzi di mondo” si riempiono di esemplari Pokémon: Pikachu, Bulbasaur, Charmender, eccetera, e si potrà provare a catturarli. Dopo averli catturati bisognerà usarli per combattere contro altri allenatori. Un nostro amico che gestisce un ristorante ci ha recentemente raccontato che una sera il figlio di un suo cliente lo ha ritrovato in cucina con lo smartphone nelle mani, allo stesso modo di un’arma pronta a sparare, a questo punto gli ha detto che lì non poteva entrare, ma il bambino ha risposto in modo piuttosto assertivo e seccato: “Cerco i Pokémon!”. Piazze, stadi, palazzetti, campi, ogni luogo si trasforma in terreno di caccia…Allo stesso modo può accadere di ritrovarsi a cena fuori ed ascolatare fidanzati che si scambiano orgogliosi i punteggi totalizzati alla fine della “caccia”! Si, è vero, è tutto molto simpatico, potremmo raccontare altri episodi, ma certamente anche voi ne avrete altrettanti a riguardo.

Ma quando sono gli adulti a “giocare”? Il rischio di certo aumenta, perché ci sono le responsabilità, anche giuridiche, nei confronti dei minori. Vi portiamo un altro esempio recentemente appreso da alcuni nostri colleghi con i quali ci siamo confrontati in modo particolarmente acceso su tali questioni: in una festa rionale una mamma ha perso di vista il figlio, non perché fosse lui a confondersi tra la folla, piuttosto perchè lei era presa a “catturare Pokémon”. Il bambino, spaventato, si è rivolto alle autorità presenti a vigilare sulla manifestazione, per potere ritrovare la propria madre le cui scuse “per averlo perso di vista”, non sono bastate: possiamo immaginare il seguito. A questo punto ci chiediamo, certamente in modo retorico, se l’obiettivo sia davvero lo scopo con cui è stato lanciato il videogioco agli albori, cioè: “Gotta catch’em all!” (acchiapparli tutti) o lasci trasparire un’intenzione differente.

Noi educatori abbiamo certamente un occhio più clinico, amiamo la creatività, il gioco cooperativo, lo sviluppo della capacità inventiva personale, sappiamo quanto il gioco accompagni da sempre la crescita evolutiva dei bimbi, perché diventino adulti più consapevoli delle proprie emozioni, per la costruzione di identità stabili. Ma “trasformando il gioco in realtà e la realtà in un gioco”, quale contatto i bimbi saranno capaci di stabilire con la propria identità che si sta costruendo, come creature che debbono porsi in relazione ad altri per evolvere e non certo per distruggersi? A questo punto la realtà sfugge di mano, i bambini si depotenziano nella capacità di osservare ciò che vivono, di orientarsi ai compiti, lasciando, quindi, che i pixel si sostituiscano al loro flusso sanguigno. Nella realtà possiamo giocare, ma la realtà non è un gioco e alleggerire talvolta il peso che le responsabilità della vita quotidiana portano con sé, mediante l’evasione in una realtà sempre più virtuale è fortemente pericoloso per la salutogenesi ed il benessere mentale, emotivo e fisico di ciascuno dei quali noi educatori ci prendiamo cura quotidianamente con responsabilità ed impegno. In chi è già isolato, l’utilizzo di applicazioni molto coinvolgenti potrebbe aumentare il grado di isolamento fisico, trasformandolo in un isolamento virtuale che può degenerare nell’insorgere di tratti psicotici, dove inevitabile è la rottura con la realtà.

A proposito desideriamo concludere con un intervento di Luca Mazzucchelli, psicologo, formatore e giornalista:

“Per questo sono sempre più convinto che oltre all’azione di monitoraggio da parte di noi psicologi sarebbe fondamentale anche quella di affiancamento nelle fasi di progettazione dei giochi, specie quelli di realtà aumentata, per lavorare insieme agli informatici allo scopo di sviluppare dei giochi che aiutino a sviluppare il coraggio, a esternare le emozioni senza cadere nel tranello delle dipendenze”.

BIBLIOGRAFIA:

  • CARDOSO P. (a cura di), Le nuove dipendenze, Psiconline Edizioni, Francavilla al Mare (CH) 2014.
  • LANCINI M. – TURUANI L., Sempre in contatto. Relazioni virtuali in adolescenza, Franco Angeli, Milano 2009.
  • PANI R.- BIOLCATI R., Le dipendenze senza droghe, Utet Università, Milano
  • PASQUINELLI E., Irresistibili schermi. Fatti e misfatti della realtà virtuale, Mondadori Università, Milano 2012.
  • YOUNG K. S., Internet Addiction: Symptoms, Evaluation, and Treatment. Tratto da: http://netaddiction.com
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ARPA

"ARPA:LA DIMENSIONE DEL CRESCERE" nasce nel 2007 dall'ispirazione guidata dalla passione per l'educazione e per la formazione integrale della persona dal concepimento in poi, attraversando tutte le fasi evolutive.Giuseppe e Maria Chiara, rispettivamente il Presidente e la Vicepresidente hanno formalizzato nel 2013 la costituzione dell'"ARPA" la cui mission è insieme la tutela dei minori e alla violenza di genere.Le attività di arteterapia e ginnastiche ortocinetiche aiutano, insieme all'approccio non invasivo dei Fiori di Bach e della consulenza pedagogica, a favorire la capacità creativa dei genitori e dgli educatori, al fine di suscitare nuove capacità di relazione. Il progetto di esordio "Tienimi la mano" nell'a.s. 2013/2014 si è rivolto a più di 160 alunni delle scuole dell'Infanzia e Primarie del circondario fermano, nelle Marche. L'educazione all'affettività e alle emozioni è il primo passo per valorizzare il diritto all'Infanzia e a permettere il ruolo attivo del minore nella relazione socio-educativa. Giuseppe e Maria Chiara collaborano nella redazione del giornale on line "La Pagina Maieutica" di Alcamo, hanno da poco presentato poesie per il concorso promosso dalla Casa Editrice Kimerik a Patti (ME) e favole per il concorso "In DispaArte" promosso da ACLI arte e spettacolo. Inoltre, amanti della pittura, mettono a disposizione di coloro che desiderano dare impulso alle nostre iniziative, opere su tela realizzate con olii essenziali e Fiori di Bach.

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