Cittadinanza: scelta personale o utilità sociale?
Negli ultimi anni la questione della cittadinanza agli immigrati si è imposto come problema primario in quanto collegato con il fattore chiave dell’identità culturale. In poche parole si tratta di stabilire se, la cittadinanza, impone la rinuncia dell’identità culturale d’origine o rappresenta uno strumento di tutela politico-sociale. Per rispondere a questa domanda si deve, innanzitutto, capire quali paradigmi si celano in questi due termini.
La cittadinanza definisce lo statuto dell’individuo all’interno del gruppo e definisce l’appartenenza di ciascuno all’interno della comunità che compone lo stesso. In quanto comunità, il gruppo stabilisce regole, diritti e doveri, limita, oriente e istituzionalizza la manifestazione di istinti, interessi e passioni. Non solo. L’essere cittadino, significa partecipare attivamente a una vasta rete di relazioni sociali morali ed ideali, che sfociano nella partecipazione diretta alla vita politica dello stato.
Esprimendo il legame del singolo con la collettività, agisce sul rapporto io e l’altro e sull’immagine dell’altro. L’altro ha una sua autonomia; è il diverso ma viene investito della stessa dignità morale dell’io. In quest’ottica l’identità culturale intesa come espressione di storia tradizioni, religione ed esperienze personali non viene persa ma relegata sul piano intimo e personale: l’identità culturale rappresenta un volto dell’individuo quello stesso che in territorio di immigrazione viene a rapportarsi con l’altro nell’ambito pubblico e sociale.
Rappresentando la modalità con cui l’immigrato si rapporta con l’esterno (l’istituzione politica ospitante e i membri di questa), non subisce una modifica ma semmai si va ad integrare ed armonizzare con l’arena della polis costituita dalla città.
E’ la città che diviene protagonista e luogo privilegiato dove prendono forma i rapporti tra singoli e tra comunità e stato che li rappresenta ossia l’entità astratta con cui si è istituito il patto di solidarietà.
Essere cittadini significa aver aderito a un patto di questo genere che, seppur limita alcune libertà, garantisce in cambio la solidarietà sociale, la sicurezza, l’equilibrio e la soddisfazione dei bisogni. Essere al di fuori di questo patto privi dello status di cittadino, significa essere lo straniero, ossia la minaccia costante a questo equilibrio diritti-doveri-solidarietà.
Nella cittadinanza, l’individuo diventato membro di quel patto, può apportare nuove energie (quelle che gli derivano dalla sua identità culturale e personale) entro la cerchia protetta della città senza però essere visto e sentito come l’estraneo-minaccia.
Questo può modificare e far evolvere una civiltà e di conseguenza il rapporto politico e sociale creando al di dentro nuove e stimolanti forme di appartenenza e nuove forme di solidarietà. L’immigrato stesso oramai cittadino può ricevere dei benefici che gli derivano da una rivalutazione critica dei propri assunti culturali grazie all’incontro e non scontro, con elementi culturali diversi, ma non più visti come estranei e minacciosi.
Micheli Alessandra