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Il funambolo della parola

Giovanni Allevi: “Ho perso l’equilibrio. Anche il mondo sembra averlo perso, se penso agli eventi inquietanti e inaspettati che affliggono i popoli in questi anni”.

È con queste parole che si apre il primo atto dell’ultimo libro del Maestro Giovanni Allevi: L’equilibrio della lucertola (ed. Solferino).  Centotrentaquattro pagine che si leggono tutte d’un fiato seguendo un ritmo incalzante, fino a raggiungere “il cornicione degli squilibrati”. 

“Me ne sono accorto banalmente mentre cercavo di allacciarmi una scarpa sollevando il piede da terra: impossibile. Ho riprovato con più calma, in un luogo appartato, e ho dovuto prendere atto di aver perso del tutto l’equilibrio”.

La prima cosa che ci dicono quando giungiamo alla maggiore età è: “Hai raggiunto il tuo primo traguardo, da ora, dovrai essere pronto a superare gli ostacoli che la vita ti porrà di fronte”. E quei bigliettini di auguri, letti a malapena, arrivano un giorno a trasformarsi in qualcosa di concreto, diventano scelte. Raggiungere il famoso cornicione, magari a stento, e decidere se saltare o meno. Il nostro autore racconta come un incubo ricorrente, cadere dal cornicione, lo abbia condotto a vivere emarginato su un’isola dell’Atlantico per ritrovare se stesso. L’unico a fargli compagnia era un rettile: una lucertola che incontrava mentre faceva la solita corsa mattutina e che, ai suoi occhi, era diventata una sorta di “guida spirituale” a cui porre le domande alle quali da solo non trovava risposte.

Durante questa fase Allevi, uno dei più importanti compositori e musicisti del panorama italiano, ha realizzato il suo doppio album, intitolato: Equilibrium.

Per quanto riguarda me, mi sono accorta di aver perso la mia stabilità restando ore in piedi sul cornicione. Sembrerà una cosa di poco conto, ma non lo è per nulla.

L’equilibrio della lucertola è un apologo dedicato agli “squilibrati”, a chi si sente vacillare e ha paura di cadere. La sua lettura, accompagnata dai nuovi brani, mi ha aiutata a guardarmi dentro. In particolar modo il brano che sento come un vestito cucito su misura per me è “Born to fly”. Grazie al Maestro e alla sua arte sono riuscita a comprendere che la mia strada è: lavorare con i bambini e le parole.

Man mano che le pagine scorrevano, l’inchiostro delle parole diventava sempre più un “grassetto” ai miei occhi, come se volesse dirmi qualcosa, così, ho trovato quello che cercavo, o forse, quello che non vedevo. Nel terzo atto del libro l’autore racconta di un pomeriggio trascorso a una festa di compleanno di un bambino, e quel che nota lo sorprende al punto da credere che “I bimbi sanno stare in equilibrio”. Da quest’affermazione ho elaborato un progetto di scrittura rivolto ai bambini della scuola elementare del mio paese, dal nome: “Il funambolo della parola”. Equilibrio, cornicione, paura di cadere sono tutte parole chiave che mi hanno riportata a uno dei miei racconti preferiti: Neve, di Maxence Fermine, scrittore francese.

 Questo in basso è il pezzo da cui sono partita:

“In verità, il poeta, il vero poeta, possiede l’arte del funambolo. Scrivere è avanzare parola dopo parola su un filo di bellezza, il filo di una poesia, di un’opera, di una storia adagiata su carta da seta.
Scrivere è avanzare passo dopo passo, pagina dopo pagina, sul cammino del libro.
Il difficile non è elevarsi al suolo e mantenersi in equilibrio sul filo del linguaggio, aiutato dal bilanciere della penna.
Il difficile, per il poeta, è rimanere costantemente sul quel filo che è la scrittura, vivere ogni ora della vita all’altezza del proprio sogno, non scendere mai, neppure qualche istante, dalla corda dell’immaginazione.
In verità, il difficile è diventare funambolo della parola”.

La prima cosa che ho fatto con i bambini dopo essermi presentata e scoprire i loro nomi, è stata far leggere loro questo passo, capire chi è il funambolo e quale responsabilità comporta pronunciare delle parole. Come il funambolo passo dopo passo rischia di cadere, così parola dopo parola si rischia di sbagliare, “cadendo” nelle offese. Dopo una serie di esercizi, letture, visioni di foto e considerazioni i bambini hanno raggiunto la parte pratica: scrivere delle storie e interviste, inventate o meno, che avessero come tema principale migrazione e integrazione.

Come conclusione abbiamo realizzato un cartellone con tutte le loro definizioni sulla migrazione e sul funambolo, però prima abbiamo fatto lo stesso esercizio mattutino del M° Allevi: provare a stare in equilibrio su un piede.

“Dopo aver fatto colazione, stendo sul letto gli elementi della mia divisa da equilibrista”.

Questo piccolo resoconto lo scrivo per ringraziare i bambini perché sono loro che continuano a sorprendere il mondo dando spesso lezioni agli adulti.

Un ringraziamento speciale va al Maestro Giovanni Allevi, gli sarò eternamente grata per avermi dato il coraggio di vivere con il mio disequilibrio, producendo dentro di me “una rivoluzione personale”.

Lo ringrazio anche per avermi sopportata in questi mesi. Sì, perché non solo i bambini hanno delle domande. Spesso anche noi giovani adulti ne abbiamo, ma non vogliamo sapere le risposte, perché qualsiasi cosa ci spaventa.

Piccola parentesi: ho visto per la prima volta Giovanni Allevi durante la registrazione di un programma musicale cui ho partecipato a Torino, Nessun Dorma. Conoscevo già la sua musica e, posso assicurarvi che dal vivo la sensazione è quella descritta da Saffo nella sua poesia”A me pare uguale agli dei”.  A stupirmi però fu la sua umiltà d’animo: vero, senza corazza per le emozioni.  A spettacolo concluso non riuscii a rubargli nemmeno una foto, ma non appena tornai a casa cercai una soluzione per mettermi in contatto, e così mi ha resa la ragazza più felice al mondo rispondendo alle seguenti domande:

  1. Nel mio progetto ci sei anche tu, parlo del tuo libro e, queste sono le pagine che leggerò: pag. 61/15/17/97/98/99/100/101/105. Cosa ne pensi?

Credo che tu ti sia riconosciuta nello sgomento che provo tutti i giorni immerso in una società che non sogna più, che ci fa sentire tutti perennemente inadeguati e che ci spinge a restringere il più possibile il nostro sguardo, per navigare a vista. Forse è ora di liberarsi di tutto questo, a partire dal recupero della follia, della poesia, dello squilibrio.

2. Cos’hai provato quando hai riletto il tuo libro?

Un grande senso liberatorio. Forse c’è troppo Giovanni Allevi tra quelle righe, e io vorrei davvero farmi da parte. Non è un libro per le persone normali; anzi, chi sta bene, chi non vive nel tormento e nella ricerca di un senso, non riesce a comprenderlo.


3.Ora, su due piedi, che definizione daresti di “equilibrio”?

Su due piedi direi: evviva gli squilibrati! Evviva gli incompresi, coloro che si sentono inadeguati, che non hanno verità in tasca. Mi piacerebbe davvero che questo libro fosse il loro manifesto.

4. All’interno del progetto ho creato un collegamento non solo con la vita quotidiana ma anche con quello che ci circonda, proprio come fai capire tu all’inizio del libro. Così da questa riflessione ho iniziato a parlare ai bambini di equilibrio, partendo dal “funambolo delle parole”. Perché secondo te?

Perché i bambini rappresentano un mondo perduto. Loro intuiscono, vedono oltre, sono in perenne contatto con il lato magico delle cose, che è la loro essenza. Noi abbiamo perso questa capacità, ma possiamo tornare a impararla da loro.

5. Come il funambolo anche le parole rischiano di “cadere” e diventare offese. Da qui ho inserito il tema della migrazione e un tuo brano di cui già ti parlai.
Pensi che anche chi cerchi equilibrio (e si isola come noi) alla fine sia un migrante?

Io mi sono definito, già molti anni fa, un precario dell’esistenza. La vita è un mare misterioso che nasconde delle insidie, e noi non possiamo contare sulla sicurezza della spiaggia. Ma ogni giorno possiamo scoprire qualcosa di nuovo, anche in noi stessi, e magari toccare un’immensità che ci fa tremare il cuore.

“Non hanno importanza i numeri, quante persone vengono a vederti, ma le emozioni”.

Per me vale lo stesso con questo scritto.

                                                                                                                                   Comasia S.

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