Recensione di “Storielle di donne” di Latifah Rita Blasi Troncelliti
Come se non fosse già sufficientemente complicato essere donna dal punto di vista biologico, la cultura ha voluto renderci la vita ancora piu’ difficile attraverso tutta una serie di prescrizioni morali, tabu’, pesanti condizionamenti. A parte l’ironia, sostanzialmente è questa la conclusione che si trae dalla lettura di questi diciassette bei racconti scritti da Latifah Rita Blasi Troncelliti.
Ma i due aspetti forse sono direttamente collegati: nel caso di una specie dotata di libero arbitrio, la natura incapace da sola di garantire la procreazione attraverso i soli istinti, come succede per gli animali, si avvale del rinforzo della cultura affinchè la specie umana conservi la determinazione e il coraggio di procreare anche nelle condizioni di massimo disagio.
Prova ne è’ che qualsiasi cultura presente nel nostro pianeta, indipendentemente dal grado di sviluppo, dall’epoca, la collocazione geografica, lo stato economico e sociale lavora perché il ruolo della donna sia il medesimo: dare alla luce nuovi membri della comunità di appartenenza.
Dagli arbori della civiltà la tradizione culturale ha cercato di regolamentare nei minimi particolari la vita della donna, in vista di questo obbiettivo, assicurandosi, attraverso punizioni morali quando non corporali, che nessuna cercasse di sfuggire al suo destino.
“ Storielle di donne” racconta, infatti, 17 storie di disagio psicologico in cui la donna puo’ incorrere allorchè tenti di sottrarsi al “protocollo” stabilito dalla sua comunità di appartenenza, intesa come classe sociale, comunità religiosa, comunita’ cittadina, o piu’ semplicemente come famiglia.
Questo è quello che si chiede ad una donna: la preparazione e la dedizione fin da piccola al raggiungimento del “grande obbiettivo della vita”, anche e soprattutto attraverso la conservazione della propria integrità fisica e morale. Tutto il resto e’ secondario, per non dire superfluo. Ogni altra aspirazione, quando ritenuta decorosa, è tollerata solo come passatempo temporaneo in attesa della “discesa in prima linea” nella battaglia contro la mortalità della specie.
Alcuni di questi racconti sono “duri” da digerire, alcuni personaggi rimangono nel cuore: c’e’ la storia di Mariolina, anoressica, “avvinta alle persone di famiglia da legami inscindibili”; c’è Rosa con le sue aspirazioni artistiche ostacolate da genitori “benpensanti”; c’è la piccola Giulia che affronta la sua prima delusione d’amore sui banchi di scuola; Paoletta che arriva alla prima notte di nozze senza che nessuno le abbia parlato di sesso; Francesca che da donna separata subisce gli assalti di uomini convinti della sua disponibilità.
Personalmente, il racconto che ho amato di piu’ è quello intitolato “Il grande viaggio” perché è quello che racconta di un percorso di emancipazione morale di una donna andato a buon fine e non a caso la chiave di volta è stata proprio l’incontro/scontro con una cultura diversa. E’ in questo racconto che l’autrice pone come fiore all’occhiello l’amara conclusione che la cultura per “imbrigliare” le donne al loro ruolo si avvale proprio dell’autorità in campo educativo delle donne stesse. E’ questo che, secondo me, rende per molte di noi ancora piu’ difficile l’espressione della volontà di andare “controcorrente”. Buona lettura a tutti.
Ilaria Paradisi