Penelope alla vita

Penelope alla vita “L’Apocalisse dentro” Parte prima

Quando con voce ferma mi dice «Resta dove sei» obbedisco e resto dietro al muro oltre al quale invece lei si sporge e prende a fissare un punto preciso. Lascia passare pochi attimi poi, gelida e dura come un blocco di marmo, afferra una delle frecce dalla faretra che ha appesa sulla schiena e la ingloba nell’arco. Il suo volto non tradisce alcuna emozione, mentre il suo corpo sembra muoversi come se seguisse dei binari invisibili. E’ di certo un rituale – penso – e il cuore prende a battermi come un tamburo quando sento la corda vibrare mentre, in perfetta sinergia con i muscoli delle braccia e del viso, si tende.

A chi sarà diretta? Un animale? Una persona? Un pericoloso guerriero o un innocente? Difficile possa trattarsi di un semplice bersaglio, il silenzio che regna in questa città di pietra è così simile a quello che abita i cimiteri che mi sembra di percepire la presenza della morte. Riesco benissimo a immaginarla appollaiata su qualche vetta, pronta a precipitare su un corpo che sta per esalare il suo ultimo respiro.

Sobbalzo quando la freccia schiocca rapida lontana dall’arco e l’agonia avvolge la sua pesante mano sul mio collo e stringe, via via che il sinistro suono della freccia che fende l’aria si fa sempre più acuto. Poi il tonfo… quasi sovrapposto a un lieve mugolio che però non scioglie i miei dubbi sulla natura della vittima.

«Vieni» mi ordina, ma ho paura. Quando lo ripete con un tono più alto però, mi faccio coraggio e volto l’angolo. In fondo a una stretta via vedo una donna accasciata al suolo prona, con una freccia infilzata nella schiena. Il sangue in corpo mi si gela. Mi blocco, ma quando Lilith si volta a guardarmi il suo sguardo sembra non ammettere dinieghi e tremolante mi porto a ridosso del cadavere.

«La Prudenza non è Sapienza» dice poggiando un piede sul petto della donna e afferrando l’arma per la cocca. «La Prudenza non porta luce, né mostra come distinguere il bene dal male, il giusto dallo sbagliato…» e con uno strattone deciso estrae la freccia dal corpo che, per un attimo, sembra sollevarsi da terra per poi ripiombare al suolo più vuoto di prima. «…siamo caducei attorno ai quali i due serpenti si attorcigliano con precisa alternanza»

«Perché hai ucciso questa donna? Cosa ti ha fatto?»

Sogghigna e dopo aver girato intorno al corpo, precisa.

«Sicura sia stata io ad ucciderla?»

«Che vuoi dire?»

«Non esistono demoni, non esistono angeli e non esiste morale da applicare contro gli uni o a favore degli altri. Esistono solo sensi scoperti, e dunque in armonia con il mondo che ci circonda, oppure no. Ora andiamo».

Vediamo Fortezza nascosti all’ingresso di una delle innumerevoli tombe che i Nebetei ricavarono dalla montagna, ai piedi della quale ora troneggia al centro dell’anfiteatro. È seduta e fissa le rovine dinanzi a sé, sembra rassegnata a ciò che sta per accadere.

«Non sembra pronta a combattere le avversità, perché?»

«Dovresti chiederlo a te stessa»

«In che senso?»

Poggia la risposta da me tanto agognata, dietro le movenze meccaniche con le quali un attimo prima aveva caricato l’arma. Pochi istanti e una nuova freccia è pronta a lasciare le sue dita sottili.

«No aspetta!»

Si ferma, ma senza perdere di vista il bersaglio.

«Perché vuoi uccidere anche lei? Cosa ti hanno fatto queste donne?»

«Ci hanno ingannato. Lei per esempio, voleva farci credere che quello verso la perfezione fosse il cammino che tutti siamo destinati a compiere. Che per diventare il meglio di noi stessi non dobbiamo mai mollare, tirare diritto a ogni costo, passare sopra tutto e tutti…»

«… e così non è?»

«No. Ciò che ci rende migliori è la crescita. Ma per non smettere mai di crescere, di tanto intanto, dobbiamo morire e poi rinascere. Se non lo facciamo, a un certo punto diveniamo vecchi e lentamente appassiamo»

Quando i miei occhi tornano a fissare l’arco, la corda non è più tesa e della freccia non v’è più traccia. L’istinto accompagna i miei occhi verso il punto in cui ha certamente terminato il suo viaggio, ma la ragione blocca il capo.

Lo sforzo da vita al ricordo di quando Ulisse, tornato a casa, mi prese con forza. Lo ricordavo uomo ma senza prepotenza, duro ma senza arroganza. E quel suo sesso, così arrabbiato, fu un pugnale che contro di me si scagliò e mi squarciò, proprio come quella punta metallica ora giaceva stanca ma vittoriosa nel petto di Fortezza.

«A questa città si arriva passando per una ferita…» e mentre parla nella mia mente riaffiora l’immagine di un enorme montagna spaccata in due ed io che abbracciata a un cavallo la attraverso galoppando dentro a questo spaventoso canyon «…e ora che ci sei dentro devi uccidere il tuo vecchio Io. Un Io legato a virtù che non hanno più senso di esistere, poiché la vita è istinto. Tutto il resto, tutte le teorie su come è meglio comportarsi, è un’enorme impalcatura riposta sulla nostra facciata e va fatta cadere»

«E quando avremo finito?»

«Pioverà così tanto che la pioggia, cadendo sulla pietra, diventerà fiume. Un fiume che ci inonderà e porterà via tutti i detriti di ciò che siamo stati».

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Eugenie Genin

Nel 2015 pubblica con la casa editrice Milena Edizioni il suo primo libro "Il basilico raccolto all'alba. Romanzo Erotico.

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